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“Blue Christmas”, quella sensazione di tristezza e solitudine che colpisce a Natale

Secondo un recente studio dell’Università del Kansas ci sarebbe una connessione tra quello che mangiamo e la depressione natalizia, quella sindrome che gli americani chiamano ‘Blue Christmas’, che pare colpisca una persona su due. Per queste persone le festività natalizie diventano il periodo più difficile dell’anno: invece di gioia, allegria e serenità provano una solitudine…

Secondo un recente studio dell’Università del Kansas ci sarebbe una connessione tra quello che mangiamo e la depressione natalizia, quella sindrome che gli americani chiamano ‘Blue Christmas’, che pare colpisca una persona su due. Per queste persone le festività natalizie diventano il periodo più difficile dell’anno: invece di gioia, allegria e serenità provano una solitudine lacerante e una tensione che rischia di trasformare la festa più bella dell’anno in un incubo.

Gli psicologi spiegano questi sentimenti come una reazione a quell’obbligo all’essere felici che il Natale comporta, ma anche agli impegni che si affollano nei giorni precedenti la festa: oltre al lavoro e alle grane dell’ultim’ora, si deve tenere la casa in ordine perché sicuramente verranno a trovarci amici e parenti, si deve partecipare a cene di famiglia (di cui si farebbe volentieri a meno), si deve comprare il regalo giusto  e poi il traffico che intasa le vie del centro, le lunghe file alle casse dei negozi e il dover cucinare.

Che c’entra il ‘Blue Christmas’ con quello che mangiamo?

C’entra per due ragioni: la prima è che molti di noi si rilassano cucinando, l’ansia si placa nell’attesa che le altrui papille gustative siano riconoscenti (almeno loro); la seconda è più direttamente coinvolta nella sterzata depressiva natalizia perché, come dimostrato dai ricercatori, torte, panettoni, pandori e dolcetti vari possono creare dipendenza in quanto gli zuccheri agiscono come una droga: hanno un immediato effetto euforizzante ma, se ne abusiamo, possono generare cali di umore, a cui tendiamo a rispondere con un’altra fetta di panettone, innescando un circolo vizioso.

E allora come facciamo con il cenone del 24 e il pranzo del 25? Ci buttiamo sul pesce e diamo la colpa al duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti, inventore della pastasciutta e autore di diversi trattati gastronomici, il quale per la cena della vigilia consigliava un menu a base di pesce, secondo la tradizione cristiana: «Minestra di broccoli all’oglio con alici salse. Vermicelli all’oglio, potrebbesi sostituire un Gattò di vermicelli mollicato come il sartù ripieno di pesce, olive, capperi, ecc. e volendo un piatto più nobile si potrebbe fare una zuppa di pesce e frutti di mare. Lesso di pesce con salsa alla majonese. Fritto di pesce. Pasticcio di pesce. Arrosto di pesce. Caponata con pesce. Croccanda di mandorle, o struffoli». Per il giorno di Natale: «Minestra di cicorie. Lesso di capponi e vaccina, con salsa o di riso o di faggioli. Pasticcio di carne con sfoglio. Polli disossati farsiti caldi. Presciutto rifreddo. Arrosto di filetto di nero di Sorrento. Insalata qualunque. Zuppa d’ovi faldacchiere, o un Gattò alla Cinese».

Insomma, abbondiamo con pesce e verdure per la Vigilia e carni bianche per il giorno di Natale, mangiamo i nostri dolci tradizionali a base di mandorle, e ricordiamoci di ringraziare Cavalcanti se l’anno prossimo avremo pochi ospiti.

Patrizia Guida, Coordinatrice del corso di laurea in Enogastromia all’Università Lum.

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