Come spesso accade in Italia, fare le leggi non ne garantisce la piena applicazione. Anche nel caso della Dat (la disposizione anticipata di trattamento), conosciuta anche come testamento biologico, la normativa c’è ma sono in pochi a conoscerla. A spiegarlo è Marco Cappato, presidente dell’associazione Luca Coscioni, da sempre impegnato nelle battaglie sul fine vita.
La legge sui testamenti biologici o Dat (disposizioni anticipate di trattamento) è entrata in vigore il 31 gennaio del 2018, ormai da quattro anni. Qual è il quadro che la vostra associazione ha tracciato?
«I testamenti biologici sono ancora troppo pochi, ma soprattutto ci sono troppi ritardi nella trasmissione alla banca dati nazionale».
Come mai questo ritardo in Puglia e non solo? Chi ne ha la responsabilità?
«Purtroppo non viene fatto alcun tipo di campagna informativa rivolta al personale sanitario e ai cittadini. Un ruolo essenziale da questo punto di vista dovrebbe essere quello dei medici di famiglia. Se spiegassero a ogni paziente il significato delle disposizioni anticipate di trattamento, ne verrebbero fatte molte di più».
Cosa dovrebbero fare invece le istituzioni affinché la legge venga applicata?
«La legge obbligherebbe il Governo nazionale e la Regione a fare informazione, invece non c’è alcun tipo di campagna informativa. Ribadisco che se ad ogni paziente venisse spiegato il significato e il modo in cui è possibile richiedere le Dat, le persone sarebbero davvero libere di scegliere in coscienza se avvalersi del proprio diritto. È ora che le amministrazioni si facciano carico del problema, senza farsi sostituire dalla nostra associazione nella tutela dei diritti fondamentali delle persone. Un diritto non si può dire tale tale se rimane solo sulla carta: la disinformazione e la burocrazia ostacolano i testamenti biologici, è per questo che ci sono troppi ritardi anche nella trasmissione alla banca dati nazionale».