I balneari sono pronti a dare battaglia anche in Puglia, soprattutto dopo la recente sentenza del Consiglio di Stato sul controverso tema delle concessioni. La decisione di dichiarare illegittima la proroga fino alla fine del 2024 delle concessioni pubbliche agli stabilimenti, decisa dal governo nel decreto milleproroghe, ha rimescolato le carte e riacceso gli animi. Per molti potrebbe davvero essere “l’ultima stagione”. A rischio un intero sistema economico.
«La questione è estremamente delicata soprattutto perché riguarda un modello composto da una molteplicità di servizi peculiari del nostro Paese, costruito in oltre un secolo da migliaia di famiglie di onesti lavoratori che, oggi, rischiano di perdere sia il lavoro che l’azienda» afferma Antonio Capacchione, presidente Sindacato Italiano Balneari e Fipe-Confcommercio. «Ecco perché nell’interesse del Paese, l’intervento normativo sul demanio marittimo – per essere proficuo e non dannoso – presuppone la conoscenza, al momento lacunosa e non corretta, della balneazione attrezzata italiana nelle sue effettive dimensioni e concrete caratteristiche».
La possibilità che ai bandi possano accedere più facilmente le grosse multinazionali a sfavore delle piccole organizzazioni è concreta. «Gli investimenti provenienti dall’estero e l’arrivo di grossi capitali, anche di dubbia provenienza, schiacceranno tutte le imprese a livello familiare. Non sarà facile competere», avverte Matteo Raimondi, gestore dello stabilimento balneare “Il Gabbiano” nel tarantino. Una realtà la sua che, come tante altre in regione, da anni caratterizzano e rendono competitiva l’accoglienza turistica pugliese. «Circa il 92% delle imprese balneari in Italia sono a conduzione familiare», spiega Raimondi con orgoglio.
Secondo il sindacato dei balneari le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo costituiscono, quasi esclusivamente, un’occasione di lavoro piuttosto che un investimento di capitali. Si tratta, infatti, di un settore perfettamente funzionante e di successo dovuto alla professionalità degli attuali operatori e, soprattutto, alla sua caratteristica di gestione prevalentemente familiare. Ci troviamo di fronte a micro-imprese e lavoratori autonomi che ricavano il proprio reddito fornendo servizi alla balneazione.
A questo punto, secondo le attività che già investono in questo settore, un buon compromesso sarebbe definire, nei nuovi bandi di assegnazione delle concessioni, regole che tengano conto dell’esperienza dei titolari attuali e degli investimenti avviati. La situazione ad oggi prevede che il 31 dicembre 2023 si dovrà abbandonare le “postazioni” smontando tutto. Solo nel caso in cui i Comuni non siano stati in grado di effettuare le gare in tempi congrui partirà una proroga di altri 365 giorni. Proroga o no si fa fatica a pensare che in tempi così brevi qualcun altro possa subentrare garantendo da subito gli stessi servizi di chi è sul territorio da anni. Probabilmente sarà il settore stesso a pagarne le conseguenze.
Adesso gli stessi balneari vanno cauti anche con gli investimenti che riguardano la stagione in arrivo. «Questo non è decisamente il momento di mettere sul piatto soldi per migliorare una struttura che il prossimo anno potrebbe non esistere mia o addirittura dovrò smantellare. Ci stiamo comunque organizzando per far valere le nostre ragioni: mi considero un imprenditore e così mi tolgono la mia unica fonte di reddito» puntualizza Raimondi.
«È opportuno continuare a privilegiare, in questo settore, non l’investimento di finanza, quanto piuttosto quello del lavoro diretto del concessionario – ha concluso Capacchione – sia per evitare un eccessivo carico edilizio sulla costa con anche gravi lesioni ambientali, sia perché la gestione familiare delle aziende balneari si presenta più efficiente e gradita dai clienti rispetto a una diversa omologata e impersonale».