“Ambiente svenduto”, Vendola: «Sentenza infamante. Pronto a fare appello»

«Ho atteso 547 giorni per il deposito dei motivi della condanna. Ora sono però felice di poter fare appello contro una sentenza ingiusta e infamante». Così Nichi Vendola commenta le motivazioni della sentenza del processo “Ambiente svenduto” depositate ieri a un anno e mezzo dalla pronuncia. Nel frattempo l’ex presidente della Regione Puglia, pur lontano dalla scena politica da qualche anno, continua a fornire la sua lettura della realtà e lo fa attraverso la poesia e il teatro con “Quanto resta della notte”, monologo andato in scena sabato scorso al teatro Radar di Monopoli. Parla anche di ambiente nel suo spettacolo, della patria dei nazionalismi e dei sovranismi, delle patrie di chi combatte la guerra, il razzismo e il maschilismo. Lo fa in otto “capitoli” che, in parte, riprendono le poesie pubblicate in “Patrie”.

Presidente, sono state depositate le motivazioni del processo “Ambiente svenduto”. Come le ha accolte?

«Ho atteso 547 giorni per il deposito dei motivi della condanna. Un anno e mezzo che si cumula agli otto di durata del processo. Ora sono però felice di poter fare appello contro una sentenza ingiusta e infamante che confido di ribaltare già nel secondo grado di giudizio».

Con “Quanto resta della notte” lei porta in scena temi di grande attualità e che ogni giorno assumono significati nuovi e sempre più complessi, amplificati da quanto abbiamo vissuto negli ultimi due anni. Qual è il messaggio del suo spettacolo?

«I miei monologhi raccontano l’oscurità e il disorientamento dei nostri anni, di una vita pubblica leggera e di facili costumi, di un mondo avvelenato dai nazionalismi, dalla guerra, dal razzismo. La politica cerca consenso anche con il lessico della ferocia e della disumanità. Il messaggio è che occorre reagire a quella che io chiamo “catastrofe del linguaggio”, che urge ricostruire un orizzonte radicale di speranza».

Attraverso poesia, teatro e il racconto della sua vita, pur restando lontano dalle sedi istituzionali, continua a fare politica utilizzando altri mezzi di espressione. Come sta vivendo l’esperienza del teatro e cosa riescono a trasmetterle gli spettatori durante i suoi spettacoli?

«Vivo il teatro come un’esperienza forte, un rinascere, mettendosi in gioco e dando uno spazio di sacralità alle parole. Il pubblico, in tutto questo lungo tour in giro per l’Italia, mi ha regalato emozioni indimenticabili».

A settembre lei è anche tornato in piazza per un comizio prima delle elezioni politiche che hanno visto la vittoria della destra. È passato poco più di un mese dall’insediamento del governo Meloni. Che idea si è fatto di queste prime settimane di lavoro del nuovo esecutivo?

«Del governo Meloni mi hanno colpito molto due cose: l’odio per i poveri, con la polemica fuori misura contro il reddito di cittadinanza, e la diffidenza verso i giovani, sempre oggetto di proibizioni e punizioni (vedi i rave o le parole di un ministro sul carattere educativo dell’umiliazione)».

Uno dei temi al centro del dibattito pubblico è l’autonomia differenziata. Da una parte il Governo che spinge per attuarla, dall’altra i presidenti delle Regioni, soprattutto quelli del Sud, che invitano a ripensarla e paventano il rischio di un Paese a due velocità. Qual è la sua opinione?

«L’autonomia differenziata è un colpo al cuore della unità del Paese. Il rischio che il Sud precipiti in una deriva di nuova povertà è drammatico».

Qual è la ricetta per il rilancio del Sud?

«Al Sud serve giustizia sociale e ambientale: significa un piano straordinario per il lavoro mirato al riassetto idrogeologico del territorio, alla rigenerazione urbana, al consolidamento delle reti di welfare».

Altro tema è la giustizia, in particolare la riforma dell’abuso d’ufficio, con il presidente Anci, Antonio Decaro, che ha invitato il ministro a stabilire norme certe. Che cosa ne pensa?

«Decaro pone un problema molto serio e mi pare fondato».

Nella sinistra, negli ultimi giorni, tiene banco il caso del deputato Soumahoro, autosospesosi dopo le vicende giudiziarie in cui sono coinvolte le coop della sua famiglia. Come crede sia stata gestita la vicenda?

«Penso che sia stato un momento difficile, reso ancora più doloroso dalla gogna mediatica a cui è stato sottoposto Soumahoro e i partiti che lo hanno portato in Parlamento. Difficile gestire una vicenda come questa. Ma penso che non si debba giudicare lo sforzo di apertura verso la società civile alla stregua di un casting. Curiosa critica, visto che i partiti sono criticati per la loro chiusura alla società».

Da dove deve ripartire la sinistra per rilanciarsi?

«Le rispondo con ciò che penso da tempo: urge quel processo costituente della sinistra che non ha voluto fare il Pd, consegnandosi a un destino incerto».

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