Nichi Vendola parla del processo “Ambiente svenduto”, dopo l’annullamento della sentenza di primo grado in cui era stato condannato a tre anni e mezzo per concussione aggravata in concorso, mentre si prepara a intervenire ai Dialoghi di Trani. Domenica alle 17 l’ex presidente della Puglia sarà in piazza Quercia per l’incontro “Le molte facce della violenza”. Con lui sul palco Cathy La Torre e Simona Maggiorelli, per individuare gli strumenti necessari per coltivare l’amore in modo sano.
Onorevole, annullata la sentenza di primo grado di “Ambiente svenduto”. Come ha accolto questa decisione?
«A undici anni di distanza dall’inizio di questo calvario speravo con tutto il cuore di poter vedere annullata la mia condanna con una sentenza di piena assoluzione e non con l’annullamento del processo. Cosa accadrà? Sarà sollevato dinanzi alla Cassazione il problema della competenza territoriale? Non sappiamo. Io oggi sono libero da una condanna, in attesa che tutto cominci daccapo».
Si avvarrà della prescrizione?
«Non devo avvalermi di nulla, se si ricomincia dalla casella di partenza siamo all’udienza preliminare. E in ogni caso io non ho mai cercato l’ombrello della prescrizione: penso di aver diritto ad un verdetto che ristabilisca la verità e che cancelli qualsiasi ombra sul mio operato».
Cosa pensa della nomina di Fitto a commissario europeo?
«Nessun fatto personale, considero le formazioni di estrema destra come la falange che lotta per strozzare il sogno di Altiero Spinelli, che era e per me continua a essere l’Europa unita nel segno della pace e della democrazia, della solidarietà sociale e della libertà, e non il vecchio, vecchissimo continente dei nazionalismi e dell’intolleranza. Fitto è dentro quel campo, è un protagonista di primo piano del governo più a destra della storia repubblicana, è espressione di un governo che mette a repentaglio la coesione nazionale con lo sciagurato progetto Calderoli di autonomia differenziata. Faccio gli auguri di buon lavoro a Fitto. Io milito, com’è noto, nel campo avverso».
Si dice che sarà in campo nella prossima partita per le regionali. È una possibilità?
«È il tormentone che mi affligge da circa un decennio. A ogni giro di boa, a ogni voto, spunta il fantasma di una mia candidatura. Che non c’è mai stata. Sono felice di fare politica all’aperto, di partecipare alla costruzione di un partito politico come Sinistra Italiana. Per me è un grande onore essere presidente di questo partito. Vorrei continuare a fare politica studiando, ascoltando, attraversando il Paese, discutendo di libri o di film, ritrovando le compagne e i compagni di una vita, rimettendo piede in una fabbrica, in un porto, in cento stazioni ferroviarie, in un sito archeologico, in un borgo storico, in una periferia malfamata. Si scoprono tante cose e si riscopre la bellezza della politica quando la politica è servizio, dono, missione».
Passiamo ai Dialoghi di Trani. Che influenza ha sul territorio un evento così importante?
«Penso sinceramente che i “Dialoghi” siano divenuti uno degli appuntamenti più ricchi, più impegnati e meno mondani, della vita culturale italiana. Rappresentano un bisogno, persino un’urgenza di confronto, di approfondimento, lontano dai toni belluini dei fanatici. Una bella esperienza sociale di educazione all’ascolto, un cammino di pace in tempi di guerra».
Quali sono le “facce della violenza” da cui è importante difendersi oggi?
«Il libro di Cathy La Torre (“Non è normale”, Feltrinelli), di cui parleremo nei Dialoghi è una guida ragionata e documentata al contrasto, innanzitutto culturale e poi anche legale, di ogni tipo di violenza. Per me è cruciale difendersi innanzitutto dalla normalizzazione della violenza, da quella che Hannah Arendt chiamava la “banalità del male”. Non è “normale” umiliare, punire ingiustamente, torturare, stuprare, deportare le persone, chiuderle nei lager. Noi ci stiamo invece abituando a convivere con la crudeltà del mondo e con la strage degli innocenti. La cosa più paurosa è assuefarsi, a ogni livello, alla “normalità” della violenza».
Si è parlato tanto di un’ora di “educazione sentimentale” nelle scuole per sensibilizzare gli adulti domani. Una soluzione che suona retorica, cosa ne pensa?
«La “diseducazione sentimentale” è una questione globale, non è il richiamo al galateo, ma la necessità di smontare tutti gli stereotipi che si nascondono nel nostro linguaggio. Che mondo creiamo quando parliamo? Perché un bambino che piange è una “femminuccia” e un bambino che picchia è un “maschiaccio”? L’educazione sentimentale, nella società di oggi, dovrebbe essere una vera emergenza. Per carità, vengono i brividi solo a pensarci: c’è un Ministro dell’“Umiliazione” come Valditara con la sua pedagogia del “sorvegliare e punire”. C’è la polizia morale della Roccella, la polizia immorale di Salvini. Tuttavia la scuola ha il diritto di aprirsi ai bisogni di chi nella scuola ci vive. Imparare il rispetto è educare alla democrazia, alla diversità, alla “convivialità delle differenze”, per usare le parole sante di don Tonino Bello».
Che impatto ha il movimento femminista nella società di oggi?
«Il femminismo ha tirato giù dall’Olimpo la divinità del maschile, ha descritto e denunciato la violenza dell’ordine patriarcale, ha rotto il vocabolario, ha fatto una rivoluzione che non è mai finita».
Non crede che a volte alcuni temi siano esasperati? Prendo a esempio i cartelloni affissi in Emilia, in cui alcune frasi – sicuramente sgradevoli – vengono definite “violente”.
«Non sono d’accordo. Le parole cattive, gli insulti, le minacce, costituiscono una violenza psicologica che è una sorta di anticamera di diverse altre forme di violenza. È importante aiutare, soprattutto le e gli adolescenti, a cogliere ogni campanello d’allarme, a non sottovalutare nessun atto molesto».