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Alzheimer, uno tsunami in famiglia: 100mila casi in Puglia. Poche le diagnosi precoci

L’Italia invecchia e i malati di Alzheimer crescono in maniera esponenziale. Lo dice l’ultimo rapporto del Censis. Le persone affette da Alzheimer nel nostro Paese sono 600 mila, ma la stima è destinata ad aumentare a causa dell'invecchiamento costante della popolazione. I costi La dimensione economica dell'assistenza offerta ai malati di Alzheimer è rilevante: il…

L’Italia invecchia e i malati di Alzheimer crescono in maniera esponenziale. Lo dice l’ultimo rapporto del Censis. Le persone affette da Alzheimer nel nostro Paese sono 600 mila, ma la stima è destinata ad aumentare a causa dell’invecchiamento costante della popolazione.

I costi

La dimensione economica dell’assistenza offerta ai malati di Alzheimer è rilevante: il costo annuo per paziente, comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico del Sistema Sanitario Nazionale e della collettività, è pari a 70.587 euro. In questo scenario, assistiti e “assistenti” (caregivers) invecchiano insieme: l’età media dei malati di Alzheimer è di 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006), mentre chi è impegnato nella loro assistenza ha mediamente un’età di 59,2 anni (nel 2006 la media era di 54 anni, 53 nel 1999). Sono alcuni dei numeri contenuti nella terza edizione della ricerca realizzata dal Censis, fatta in collaborazione con l’Aima (associazione italiana malattia alzheimer).

In Puglia

In Puglia ci sono oltre 104mila malati, quelli dichiarati chiaramente, a volte si è malati e non lo si sa, perchè la malattia agli esordi può essere sottovalutata. L’incidenza dei malati di Alzheimer tende ad aumentare con l’avanzare dell’età: la patologia interessa lo 0,4% degli individui che hanno tra i 65 e i 69 anni, l’1,9% degli individui tra i 70 e i 74 anni, il 3,4% di chi ha tra i 75 e i 79 anni per arrivare a toccare l’11,5% degli anziani che hanno 80 anni e più. Approfondendo l’analisi per genere è evidente il gap a sfavore delle donne, le quali presentano una incidenza del 6%, doppia rispetto al 3% degli uomini.

Che cosa sta cambiando

In questi anni non è cambiato quasi nulla nell’approccio di questa patologia. I tempi di diagnosi ad esempio: dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi trascorrono comunque due anni in media (2,5 nel 1999 e nel 2006, 1,8 nel 2015) e non muta la quota (sempre intorno a poco meno della metà del campione) di chi segnala difficoltà nella classificazione di questi sintomi da parte dei medici a cui ci si è rivolti in prima istanza.

Nonostante la creazione di servizi specifici per l’Alzheimer e la demenza (le UVA, a partire dal 2000, e gli attuali Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) dal 2015) restano le difficoltà ad aver un punto di riferimento unico e costante nelle cure: solo il 37,7% dei pazienti è seguito da un CDCD, quota ancora più ridotta rispetto al 56,6% del 2015 e sempre con le solite differenze territoriali, dal 48,2% dei pazienti seguiti del Nord al 32,4% del Sud. Ed è bene ricordare che un malato di Alzheimer non ha bisogno sempre e solo di farmaci, ma anche di una rete che ne abbia cura.

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