Al Sud non si fanno più figli. L’esperto: «Siamo vicini al punto di non ritorno»

Demografia, invecchiamento della popolazione e prospettive per il Mezzogiorno. Sono stati i temi al centro del panel conclusivo del del festival Punto Sud che si è tenuto ieri a Bari nelle sale di Spazio Murat a cura di Alessandro Rosina, professore di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.

Facciamo pochi figli in Europa e in Italia, e al Sud ancor meno. La conseguenza non è solo il declino demografico ma l’alterazione nell’impianto strutturale della popolazione con il peso dei più anziani che diventa soverchiante sui più giovani.

«Per lungo tempo abbiamo sovrapposto nel dibattito pubblico la questione demografica su quella dell’invecchiamento della popolazione – spiega Rosina – Come conseguenza questo porta anche a chiedersi come costruire una società che funzioni avendo una crescita del numero degli anziani. Questa è una parte della questione: viviamo sempre più a lungo e diminuiscono i giovani. È un fenomeno così nuovo che non c’è nemmeno un termine per indicarlo».

Meno forza lavoro attiva; spopolamento di centri urbani minori e aree interne; difficoltà di gestione e distribuzione dei servizi pubblici. Tanto più che molti giovani meridionali prendono la strada del Nord o dell’estero. E l’immigrazione, che tanto preoccupa, non compensa questi fenomeni.

«Il “degiovanimento” è sia quantitativo che qualitativo. I giovani sono di meno ma hanno anche meno possibilità. Siamo il Paese con la più bassa percentuale di giovani ma la più alta di Neet. Tutto questo è più accentuato al sud. La carenza di formazione e di inserimento adeguato nel mondo del lavoro diventa una dipendenza nella famiglia d’origine, posticipazione del momento in cui si crea una famiglia e ulteriore denatalità. L’Italia non ha più la capacità endogena di tornare a crescere. Anche portando la fecondità italiana due figli per donna, non sarebbe sufficiente. Il punto di non ritorno, in termini di tasso di fecondità è stato già superato. Ora si rischia anche di superare il punto di non ritorno sulle nascite. Se ciò accadesse avremmo squilibri demografici molto gravi».

Se la fecondità non torna ad aumentare anche con impulso della migrazione, per il professor Rosina, le nascite si ridurranno in modo tale da diventare irreversibili e far perdere al Paese il controllo della bilancio demografica. «Lo scenario più favorevole, nelle nascite del sud, scenderebbe da 140mila a 100mila, stabilizzandosi. Nel peggiore, si arriva a 50mila nel 2080, per poi andare verso uno scenario apocalittico. La differenza tra i nostri giovani e quelli degli altri paesi è che i nostri chiedono ai genitori l’aiuto che altri ricevono come diritto dallo stato. I nostri dipendono più dalla ricchezza privata e questo crea ancora più disuguaglianza. Investire sulle nuove generazioni, li mette nelle condizioni di non dipendere dai propri genitori: è un cambiamento culturale».

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