Agromafie, nelle campagne criminalità sempre più sofisticata e aggressiva

Un tempo valeva il detto: “contadino scarpe grosse cervello fino”. Ora ad avere aguzzato l’ingegno è la criminalità organizzata, che ha esteso i suoi “affari” all’agricoltura con una organizzazione – almeno da quanto emerge dalle indagini della magistratura e dalle operazioni portate a termine dalle forze dell’ordine – «sempre più intelligente dal punto di vista tecnologico e finanziario, con nuovi intrecci, nuove vocazioni criminali, nuove strategie di penetrazione e di espansione».

Sono i temi propedeutici al sesto rapporto sulle agromafie e caporalato redatto annualmente dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. Perché le inchieste e le denunce, i sequestri e gli arresti disegnano uno scenario di una criminalità al passo con i tempi, sempre più attenta a utilizzare sofisticati strumenti per eludere la legalità e mettere sotto schiaffo le aziende sane del settore agricolo.

Il rapporto stima il volume d’affari complessivo delle agromafie a 24,5 miliardi di euro l’anno con un balzo del 12,4 per cento nell’ultimo anno che pare non risentire della crisi economica e delle tensioni internazionali. Una criminalità che ha imparato a diversificare i suoi affari, tracciando solchi nei quali seminari i propri traffici illegali che coinvolgono l’intera filiera produttiva, a cominciare da quella del cibo: dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, «con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza tanto che ormai si può parlare ragionevolmente di mafia 3.0».

Una sorta di caporalato industriale «sapientemente orchestrato da “colletti bianchi” senza scrupoli, con girandole di pseudo imprese, spesso false cooperative, ma anche Srl farlocche quasi sempre intestate a compiacenti prestanomi». A riguardo, sarebbe auspicabile riprendere il lavoro della Commissione di riforma dei reati agroalimentari ferma in Parlamento per «aggiornare e potenziare l’attuale normativa in materia agroalimentare», visto che la vigente normativa è «obsoleta e controproducente» e invece «di svolgere una funzione deterrente, spinge a delinquere, essendo a tutto favore dei benefici (ingenti guadagni) il raffronto con i rischi (sanzioni per irregolarità). In Puglia la criminalità organizzata – specie quella in Capitanata che ha dato dimostrazioni di efferatezza ‒ ha sfruttato «le campagne vitivinicole per conseguire indebite percezioni di contributi ai danni dello Stato e dell’Unione europea».

In Puglia si vive una situazione difficile e gli agricoltori ormai rinunciano a presentare le denunce, con i furti che riguardano in particolare le olive, le mandorle e l’uva, ma anche rame e mezzi agricoli e non mancano fenomeni estorsivi come il taglio dei ceppi d’uva a scopo intimidatorio. «Nei territori di Bari e della Bat bande criminali recidono persino i tiranti dei tendoni per rubare i grappoli di uva. I frantoi sono costretti ad avvisare la Questura prima di far partire i camion di olio extravergine d’oliva destinato ai vari mercati italiani e a farli scortare fino all’imbocco dell’autostrada. Nella provincia di Taranto sono ormai noti i furti di olive direttamente dalle piante ed i danni da esse riportate come conseguenza di queste pratiche», mentre nel foggiano «si passa dalla sottrazione del raccolto dalle piante nel campo, alle aggressioni per il furto di mezzi agricoli, attrezzature e bestiame. Situazioni simili si riscontrano anche nelle province di Brindisi e Lecce, dove gli agricoltori sono costretti a organizzare ronde notturne per difendere i raccolti dai ladri».

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