Acciaierie d’Italia, Borraccino: «È mortificazione dei lavoratori. Lo Stato acquisisca l’intera azienda»

Da oggi a 145 imprese dell’appalto è vietato l’ingresso nello stabilimento siderurgico di Taranto con la disattivazione del badge di ingresso in fabbrica dei lavoratori. La sospensione, a tempo indeterminato, è stata comunicata da Acciaierie d’Italia senza fornire una motivazione.

«Penso, come ho sempre detto, che lo Stato dovrebbe non soltanto essere presente nell’azionariato ma acquisire per intero l’azienda». È quanto asserisce Mino Borraccino, consigliere del presidente della regione Puglia e conoscitore della situazione in cui versa ormai da anni l’ex Ilva e soprattutto conosce bene le incertezze dei lavoratori.

«Ciò che sta accadendo – afferma Borraccino – rappresenta la mortificazione dei lavoratori e delle aziende dell’indotto. Non soltanto, anche sul tema della salute, facendo riferimento alla decarbonizzazione, si tratta di un elemento essenziale e non più rinviabile, soltanto lo Stato può fare qualcosa, perché Acciaierie d’Italia e l’ad, Lucia Morselli, a tutto possono far fronte tranne che a rendere la fabbrica green».

Da qui l’appello a Roma di Borraccino. «È necessario cambiare registro – sottolinea -. Lo Stato deve passare al controllo totale dell’azienda. Dal 2012, quando ci fu il sequestro degli impianti, tutti coloro che si sono succeduti al Governo centrale, hanno sempre detto che l’azienda è strategica per il sistema Italia, dunque, a maggior ragione, lo Stato deve affrontare il tema con urgenza affinché, in ex Ilva, si possa risolvere il problema anche attraverso la riconversione ecologica. Ancora una volta si fa pagare le conseguenze a chi rischia con la propria vita la negazione del diritto stesso al lavoro».

Borraccino conclude sottolineando che «la fabbrica d’acciaio deve passare totalmente nelle mani dello Stato, se è vero che essa rappresenta un insediamento industriale di importanza strategica per l’intero Paese. Non è pensabile che solo la città di Taranto e i lavoratori, sono circa duemila gli operai dell’indotto a cui da oggi è negato di lavorare, debbano pagarne le conseguenze e non abbiano diritto ad un lavoro certo e sicuro. Così com’è non può più produrre, si tratta di struttura industriale con macchinari e metodi di lavorazione ormai superati. Si apra dunque un nuovo capitolo».

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