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A tre anni dal primo caso di Covid, Romaniello si racconta: «Così ho battuto la malattia dopo 24 giorni in coma»

Tre anni fa, di questi tempi, stava cominciando la partita della vita e non lo sapeva. Vito Romaniello, giornalista di razza nato a Taranto da genitori lucani, oggi ha 55 anni ed è direttore del canale sportivo Giocabet Tv, anche se quando ha preso il Covid era vicedirettore e capo dell’area video dell’agenzia LaPresse. Vito…

Tre anni fa, di questi tempi, stava cominciando la partita della vita e non lo sapeva. Vito Romaniello, giornalista di razza nato a Taranto da genitori lucani, oggi ha 55 anni ed è direttore del canale sportivo Giocabet Tv, anche se quando ha preso il Covid era vicedirettore e capo dell’area video dell’agenzia LaPresse. Vito è stato uno dei primi contagiati in Italia, come racconta lui stesso: «Mi sono ammalato il 3 marzo 2020. Quel giorno non stavo bene e decisi – io che in trent’anni di lavoro avevo fatto solo tre giorni di malattia – di tornare prima a casa. Avevo la febbre alta, ma pensavo di curarmela con una grappa e una bella sudata notturna, come faccio di solito. Purtroppo non è andata così e la situazione è degenerata sempre più». Il 10 marzo, una settimana dopo i primi sintomi, due infermieri vestiti come astronauti entrano nel giardino di casa Romaniello e portano il giornalista in ospedale.

Vito tornerà a casa solo il 3 giugno, dopo mesi di ricovero e 24 giorni di coma. «All’inizio volevo firmare per tornare a casa, ma il dottor Massimo Raso, medico anestesista rianimatore e caro amico, mi disse che c’era un solo posto in terapia intensiva e che, fosse stato in me, ci sarebbe andato di corsa. Mi sono fidato e ho fatto bene» racconta il cronista, che poco dopo venne sottoposto a coma farmacologico, condizione in cui rimase venti giorni.

Poi il primo risveglio. All’inizio sembrava andare tutto bene, ma il virus non era stato sconfitto: dopo una settimana il polmone sinistro collassa e il giornalista viene re-intubato. Tornato in coma, sembra davvero finita. Ciò che rimane da fare è la tracheotomia, ma le possibilità di sopravvivenza sono minime, tanto che i medici avvisano la famiglia che probabilmente Vito non avrebbe superato la notte. La mattina dopo, però, ecco la telefonata (perché visitare i pazienti era impensabile) alla moglie Daniela: «Signora, Vito si è svegliato e ha chiesto una pizza e una birra».

Dopo il coma Romaniello ha dovuto fare grandi sforzi per re-imparare a fare tutto, dal parlare al camminare al muovere le dita. Il 24 maggio 2020 venne trasferito in una clinica riabilitativa, dove sarebbe dovuto rimanere almeno 40 giorni. Dopo dieci, però, Vito camminava da solo: «La notte non riuscivo a dormire – racconta –. Mi alzavo dal letto, uscivo dalla stanza e percorrevo i corridoi deserti. Cadevo, mi tiravo su al corrimano e continuavo a provare. A mia madre in lacrime dissi che il bastone che mi serviva non era quello usato dai vecchi, ma quello di dr. House».

La storia di Vito è stata raccontata in un video (che ha fatto il giro d’Italia ed è stato mostrato in centinaia di scuole) in cui si narrava la sua avventura: «Non volevo avere popolarità – dice -. È stato il mio modo per combattere il Covid. Era giusto che la gente sapesse e si convincesse a comprare un saturimetro. Se io l’avessi avuto, non sarei arrivato in fin di vita. La gente – aggiunge – deve imparare a godersi il momento e quello che la vita ti propone tutti i giorni. Pesate che due settimane prima ero con Ciccio Caputo a parlare di focaccia barese. Bisogna inseguire le cose che ci piacciono. Io, ad esempio, la prima vacanza dopo la malattia l’ho fatta proprio in Puglia». Vito ha scritto poi un libro su questa sua avventura – Fattore Campo -, che ha voluto portare in giro per lo Stivale, a partire dalla nostra regione e da Bari (prima tappa del tour) in occasione della promozione della squadra in serie B. Poi Brindisi, Bisceglie e tantissime altre mete che ancora oggi sono in continuo aggiornamento.

«Tre anni fa poteva essere la mia fine, ma è iniziata la mia rinascita: l’inizio di una nuova vita», conclude il giornalista.

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