Stop al glifosato, insorgono le imprese agricole: «Crolla la produzione. In Puglia fino al -25% di frumento»

I produttori agricoli sono sul piede di guerra. La possibilità che il glifosato possa essere vietato dall’Unione Europea potrebbe avere un impatto economico non indifferente sull’economia. La proroga, ad oggi, scade infatti il 15 dicembre. Secondo uno studio della società di ricerca e consulenza per l’agrifood Areté, l’impatto sulle rese del terreno pugliese per la produzione del frumento duro potrebbe variare dal -15% al -25%. La Puglia subirebbe la maggiore perdita di prodotto in Italia, con una riduzione che si stima compresa tra 94.000 e 156.000 tonnellate di frumento duro pari, ai prezzi correnti, ad un valore economico tra i 34 e i 56 milioni di Euro. L’occasione per delineare i rischi economici di un divieto di utilizzo di questo erbicida è stato un incontro promosso negli scorsi giorni da Cia, Confederazione italiana agricoltori. “Secondo i dati forniti da Eurostat – si legge nello studio di Areté – la produzione totale media 2015-2020 di frumento tenero ammonta a 39.713 tonnellate, di cui si stima la metà trattate con glifosato. Un eventuale bando della molecola provocherebbe così una diminuzione delle rese del terreno, con una riduzione delle rese stimata tra il 10% e il 20%, portando quindi a una diminuzione tra 2.000 e 4.000 tonnellate (pari – ai prezzi correnti – ad un valore economico tra 0,5 e 1 milione di euro). La produzione di frumento tenero risulterebbe ridimensionata, attestandosi tra le 35.700 e 37.700 tonnellate annue».

Anche per quanto riguarda il mais l’impatto non sarebbe indifferente. Se il glifosate venisse bandito e nel caso in cui i coltivatori non ne compensassero l’assenza con maggiori interventi irrigui, la produzione regionale subirebbe una riduzione stimata tra le 450 e le 910 tonnellate circa. «Si registrerebbe un aumento dei costi di produzione sino a 50,54 Euro/T (+23,4%), aggravando la dipendenza della regione e di tutta l’Italia dalle importazioni, che già oggi rappresentano il 46% del prodotto utilizzato a livello nazionale – s si sottolinea nello studio -. Da tenere in conto anche che nel periodo 2016-2020, circa un quarto del mais importato dall’Italia proveniva dall’Ucraina». Intanto poco più di un mese fa la Commissione Europea ha dato il via a un sostegno economico, promosso dalla Francia, per disincentivarne l’utilizzo. Un intervento da 215 milioni di euro per gli agricoltori. A fare uso di glifosato è anche il settore vitivinicolo. Infatti è generalmente utilizzato a inizio e fine stagione per gestire le erbe spontanee presenti nel sottofila, cioè nello spazio tra una pianta di vite e l’altra. «Da diverso tempo è diventata pratica comune mantenere queste erbe nell’interfila, procedendo con il solo sfalcio – spiegano nel report di Aretè -. Questa pratica non sempre è consigliabile, in quanto le infestanti possono competere con la vite per l’acqua. Per questa ragione si stima che circa il 50% dei viticoltori italiani si avvalga del glifosato almeno una volta l’anno». Una partita tutta aperta con l’Europa ma anche con la scienza, alla ricerca di quel delicato equilibrio tra benessere, salute e quantità che non sempre è facile da trovare nel mondo globalizzato di oggi.

D’Amico: «Scienza e ricerca i nostri punti di riferimento»

«Gli agricoltori sono i primi ambientalisti che tutelano il territorio e sono anche i più esposti all’uso di qualsiasi agrofarmaco. Per questo Cia è da anni impegnata nella formazione dei suoi associati, affinché i fitosanitari, partendo da quelli a bassissimo impatto ambientale, vegano usati solo quando è necessario farlo e non a calendario». È quanto ha affermato Giannicola D’Amico, vicepresidente vicario Cia Puglia, in occasione dell’incontro informativo promosso negli scorsi giorni a cui hanno preso parte anche Danilo Lolatte, direttore Cia Puglia, Maurizio Vurro, Cnr Bari e, in collegamento video, Alberico Loi di Aretè . «La scienza e la ricerca – ha affermato – sono il nostro punto di riferimento anche riguardo le attività che portano maggiori rese delle varietà agricole, pur nell’ottica di una tutela generale. Per noi, infatti, non si può parlare di sola sostenibilità ambientale e sociale ma è necessario parlare anche di sostenibilità economica per le nostre imprese agricole. Non si può permettere che le aziende agricole soccombano in questo periodo di crisi generale, al contrario è necessario che gli operatori vengano messi nelle condizioni di poter fare reddito anche attraverso gli strumenti che la scienza mette a disposizione. Strumenti ovviamente – ha concluso – che vengono prima validati e certificati da autorità competenti di livello sia nazionale che internazionale».

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