Ex Ilva, si cerca la verità sui patti parasociali in vista dei tribunali. I sindacati a Palazzo Chigi

Non si allentano le polemiche intorno all’ex Ilva di Taranto nel giorno in cui il governo torna a incontrare i sindacati e il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, risponderà alla Camera. Volano gli stracci, in particolare, tra chi in questi anni ha gestito il dossier, soprattutto nella fase delicata del 2018, in mano a Calenda in qualità di ministro dello Sviluppo Economico, e il governo Conte II.

Sullo sfondo le ipotesi alternative che non potranno che passare da una amministrazione straordinaria di Acciaierie d’Italia.

Si rincorrono i nomi di possibili nuovi partner privati che possano affiancare lo Stato nel rilancio del polo di Taranto ma non c’è nulla di concreto, se non altro perché ArcelorMittal non solo è ancora all’interno del gruppo ma ha anche in mano la maggioranza delle quote che non ha assolutamente intenzione di regalare.

Da più parti, intanto, viene chiesto al Governo di fare luce sui patti parasociali, sottoscritti dai franco-indiani durante l’esecutivo a guida Conte, dai quali potrebbe prendere il via la battaglia legale del partner privato contro lo Stato.

A chiedere di “vedere le carte”, è stato il presidente di Federacciai e ceo di Duferco Antonio Gozzi. «Negli anni l’azienda ha deconsolidato Ilva, creato una struttura commerciale parallela, non sostenuto da soci di maggioranza un’azienda che aveva bisogno di liquidità, costringendo il management a fare i salti mortali nell’approvvigionamento di materie prime, determinando di fatto accensioni e spegnimenti degli altiforni a seconda dei momenti», ha affermato Gozzi. Sull’ipotesi che proprio i patti parasociali hanno permesso tutto questo, Stefano Patuanelli, alla guida del ministero dello Sviluppo Economico durante il Conte Bis, botta acqua sul fuoco. «Non esistono accordi segreti o secretati in parte dei governi di cui ho fatto parte», ha affermato senza mezzi termini.

Una ricostruzione quella di Gozzi che non convince neanche il senatore pentastellato Mario Turco. «Un anno fa Meloni e Urso credevano che bastasse ripristinare lo scudo penale per veleggiare tranquilli con ArcelorMittal verso un futuro rilancio del sito tarantino», afferma il numero due del Movimento Cinque Stelle. «Un errore strategico grossolano, perché in realtà erano chiare le manovre del colosso indiano per sfilarsi il più possibile da ogni impegno futuro sull’ex Ilva. Il governo è rimasto immobile: sappiamo che il ministro Fitto qualche mese fa ha dapprima cancellato il finanziamento di 1,2 miliardi di euro dal Pnrr, poi ha raggiunto un’intesa su un memorandum con Mittal vuoto di contenuti».

Al di là dello scontro politico, i sindacati si aspettano già oggi risposte concrete. «L’incontro a Palazzo Chigi deve essere un incontro che non gestisce la crisi ma che garantisce il futuro per Acciaierie d’Italia. Questo è il principale obiettivo con cui ci presenteremo come sindacato e come metalmeccanici all’incontro. Abbiamo assoluto bisogno che il governo si presenti al tavolo non riversando i problemi ma garantendo soluzioni». Così in una nota il segretario generale della Fim Roberto Benaglia alla vigilia dell’incontro con il Governo. Un appuntamento denso di aspettative per i lavoratori dopo la rottura con Mittal che apre a nuovi scenari di governance della fabbrica. «Non solo la continuità aziendale ma, soprattutto, la certezza di un piano societario finanziario che rilanci l’azienda, preveda una diversa marcia degli impianti e garantisca l’occupazione di tutti i lavoratori del gruppo e dell’indotto. Sappiamo – prosegue Benaglia – che è un percorso difficile, siamo responsabili, ma abbiamo la motivazione e la convinzione che il confronto con il sindacato è in questo momento il principale punto su cui il governo deve investire per costruire il futuro. Siamo pronti a prendere in considerazione solo le soluzioni che abbiano queste caratteristiche», conclude Benaglia.

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