Una settimana dopo il giuramento di Sergio Mattarella, il governo dà il via libera all’unanimità alla riforma del consiglio superiore della magistratura. La ministra Marta Cartabia al termine del consiglio dei ministri è apparsa evidentemente soddisfatta e sorridente per un provvedimento che supera il disegno del suo predecessore, il grillino Alfonso Bonafede.
Anche il presidente del consiglio, Mario Draghi, ha manifestato compiacimento; soprattutto perché nel corso della riunione non ci sono state polemiche da parte dei partiti della maggioranza. Anzi, in alcuni passaggi, come le disposizioni per evitare che si verificassero «nuovi casi Palamara», dal nome dell’ex presidente del csm, inquisito per aver utilizzato la sua posizione per “orientare” le nomine apicali delle giurisdizioni, Cartabia ha detto che «c’è unanimità di vedute in parlamento», non solo tra i ministri.
L’atto prevede nuovi meccanismi per essere eletti nell’organo di autogoverno della magistratura e riporta il numero dei componenti togati elettivi a 30, così come erano fino al 2002, quando furono ridotti a 24. La disposizione più importante è, però, quella del rapporto tra magistrati e politica: basta con le cosiddette “porte girevoli”, ovvero l’osmosi tra funzioni giuridiche e ruoli politici. Non sarà più permesso, una volta terminato un mandato elettorale, ritornare a funzioni giudiziarie che si occupavano.
Anzi, i magistrati politici verranno collocati fuori ruolo presso il ministero della giustizia. Per chi, invece, dovesse risultare non eletto a fronte di una candidatura politica, il divieto di svolgere le funzioni che si avevano prima sarà per tre anni. Cambiano anche il sistema di voto e i collegi elettorali per l’elezione dei togati. Non sarà necessario raccogliere firme e ci si potrà autocandidare, partecipando ad una competizione con un sistema misto che prevede il maggioritario per la scelta di 14 consiglieri, mentre gli altri cinque saranno eletti con il proporzionale su base nazionale, questo per ridurre il peso delle correnti. «E’ una riforma dovuta ai tanti magistrati che lavorano silenziosamente», ha commentato la ministra al termine del cdm. Mentre il premier ha annunciato che non porrà «la questione di fiducia quando il parlamento sarà chiamato a convertire in legge il decreto».










