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C’era una volta il Green Deal

C’era una volta il Green Deal. Si proponeva di trasformare l’Europa rendendola climaticamente libera da emissioni inquinanti entro il 2050. Stimolando la riqualificazione del patrimonio edilizio in un’ottica di efficienza energetica e circolarità. Promuovendo l’integrazione delle fonti di energia rinnovabile nel sistema delle infrastrutture elettriche per meglio servire le città del futuro, che si distinguono per servizi innovativi e soluzioni smart in cui i cittadini sono coinvolti non come destinatari passivi, ma come protagonisti.

C’era una volta e c’è ancora. Tanto più dopo la deflagrazione del conflitto in Ucraina, che ha azzerato l’orientamento europeo alla dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia. Ormai è consolidato il convincimento che la vera autonomia energetica italiana (ed europea) passa per un incremento importante proprio delle energie rinnovabili, di cui il Mezzogiorno è un campione.

Se questo è il contesto con cui inevitabilmente dovremo fare i conti, dobbiamo chiederci come impattano oggi le nuove condizioni sul settore delle costruzioni, sui nuovi modelli di progettazione che sperimenta, le tecniche di cantiere e sistemi di gestione del costruito. Tenendo ferma la barra sugli obiettivi di fondo: ridurre l’impiego di risorse naturali, dare valore alle materie secondarie, integrare al meglio le diverse fonti energetiche e le tecnologie per l’efficientamento generale del sistema edificato.

La Puglia è una regione che da tempo si mostra molto sensibile ai temi della sostenibilità. Lo prova il posizionamento che il suo capoluogo detiene nella classifica I-City rate prodotta da Fpa nel 2021.

Quello dove si apprende che Bari è una delle città italiane che sta più avanti nella trasformazione digitale, tra quelle che possono diventare ‘piattaforma’, creando le condizioni per lo sviluppo economico e sociale dei loro territori grazie, appunto, a un uso sapiente del digitale come presupposto per modificare le tradizionali geografie dell’innovazione”.

Ritengo che in quest’ottica possa fungere da esemplare “buona pratica” il primo edificio residenziale a emissioni (quasi) zero che si inaugura a Benevento giovedì 7 luglio.

H-ZebB (Hydrogen Zero Emission Building) è un dimostratore, in scala reale, di nuove tecnologie che traguardano la transizione energetica attraverso l’utilizzo dell’idrogeno. Progettato e realizzato da Stress e dall’Università del Sannio, sono da rimarcare le sue peculiarità tecnologiche. Alla produzione di energia rinnovabile da fonte solare e geotermica, si aggiunge l’installazione di una cella a combustibile (fuel cell) alimentata al 100% da idrogeno per la produzione combinata di energia elettrica e calore. L’edificio è inoltre un Living Lab. Vuol dire che è completamente monitorato, attraverso le più avanzate tecnologie domotiche, con l’obiettivo di individuare “real time” prestazioni, criticità e potenzialità, con riferimento agli aspetti di sicurezza e ai benefici ambientali, non trascurando la possibilità di formare nuove figure professionali sulle tematiche energetiche. Una iniziativa resa possibile dalla collaborazione nata nell’ambito dell’Associazione Italiana per l’Idrogeno e Celle a Combustibile – H2IT fra Stress con l’azienda italiana Solid Power SpA, leader nelle tecnologie dell’idrogeno, in linea con la collaborazione fra territori in particolare Nord/Sud, auspicata tanto dal PNRR quanto dalle politiche di coesione europee: Solid Power ha la sua sede italiana in Trentino.

Parliamo di una esperienza esemplare se si vuole contribuire a rispondere con più efficacia al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione dell’ambiente costruito, in coerenza con il documento europeo ”Hydrogen technologies can boost the energy parformance of buildings”.

Iniziative come questa rappresentano una chance per il Mezzogiorno, in cerca di un proprio posizionamento a livello nazionale negli scenari futuri della transizione energetica. Specie con riguardo all’adozione di tecnologie cosiddette “carbon free”, tra le quali vanno ascritte anzitutto quelle basate sull’idrogeno come vettore energetico. Lo sviluppo della filiera industriale dell’idrogeno potrebbe attivare un progresso significativo. Il valore della sua produzione complessiva – tra effetti diretti, indiretti e indotto – è stimato tra 14 e 24 miliardi al 2030, con una notevole ricaduta occupazionale, che si situa tra 70mila e 155mila posti di lavoro.

Ennio Rubino è presidente del Distretto tecnologico per le costruzioni sostenibili Stress

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