Le nuove povertà tra autonomia differenziata e reddito di cittadinanza. Le persone che stanno vivendo male crescono sempre più nel nostro Paese.
Dati, analisi, ricerche, di organizzazioni ed enti pubblici e privati certificano ciò che associazioni e enti religiosi monitorano da anni: si fa drammaticamente fatica a vivere una vita dignitosa. Le disuguaglianze aumentano tra Sud e Nord, tra città e aree ai margini, tra persone di diverso genere, tra giovani e meno giovani, tra ricchi e poveri. Per non parlare della disoccupazione giovanile pari al 22% e di quella delle donne pari al 10,2%.
Oltre a questo scenario, tra i peggiori tra i Paesi europei, l’aumento dell’inflazione colpisce pesantemente i redditi più bassi e la possibilità di vedere garantiti i diritti sociali di base si ridimensiona di anno in anno: la sanità pubblica è al collasso, il sistema educativo non riesce ad arginare la crescente dispersione scolastica, le carceri sono sovraffollate e in uno stato pietoso, la povertà abitativa dilaga.
Se poi aggiungiamo, che con la cancellazione del Reddito di Cittadinanza e il varo delle nuove misure (Assegno di Inclusione -Adi – e Supporto per Formazione e Lavoro -Sfl-) si prevederà che dimezzerà del 50 per cento la platea dei beneficiari del vecchio RdC, il quadro si farà ancora più fosco.
Nel Mezzogiorno, secondo la Svimez, con la nuova misura 760 mila persone precipiteranno nelle condizioni di povertà assoluta, senza più alcun sostegno. Non si favorirà una maggiore occupazione, si contribuirà invece a far crescere il numero dei lavoratori poveri, il lavoro nero e precario. Perché – lo ricordiamo – l’inflazione colpisce soprattutto i più economicamente fragili o, come in questi mesi, la variazione delle rate di mutuo, che ha un forte impatto sulla condizione di famiglie e singoli.
In questo quadro di arretramento delle condizioni di vita di milioni d’italiani s’inserisce il progetto di autonomia differenziata in discussione al Senato. Siamo di fronte ad una norma che creerà diciannove Regioni a Statuto speciale. Crediamo poi però che, prima di parlare di autonomia differenziata, dobbiamo fare ogni sforzo per porre sullo stesso piano tutti i territori. Nel merito del disegno di Legge riscontriamo come una grande criticità il fatto che ci troviamo di fronte ad una “Legge preconfezionata”, in quanto le intese che vengono fatte tra il Governo e le singole Regioni lasceranno al Parlamento soltanto il potere di ratifica senza entrare nel merito delle norme contenute. Questo modus operandi consiste esautora, di fatto, il Parlamento dalle proprie prerogative.
L’autonomia differenziata rischia di mettere in discussione definitivamente il carattere pubblico e nazionale, ad esempio, dell’istruzione e di conseguenza mina, alla radice, le basi del diritto allo studio. Si rischia di vanificare la portata del contratto collettivo nazionale di lavoro e si rischia di dire addio all’unitarietà dell’insegnamento.
E dopo ciò che è successo con la pandemia è sensato dare completamente alle Regioni la tutela della salute? Possiamo permetterci lo spezzatino delle reti nazionali di energia e devolvere la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali? Pensiamo veramente che sia sensato dare in via esclusiva la potestà legislativa sulle politiche attive e sulla sicurezza sul lavoro? Questi sono solo alcuni esempi delle 23 materie che possono essere oggetto del “federalismo a geometria variabile”.
Non per nulla, su ognuna delle materie oggetto di decentramento, dall’energia alla sicurezza sul lavoro, dai centri per l’impiego alle infrastrutture, dalla salute all’istruzione e formazione, qualche volta si ha l’impressione che si brancoli fra idee spezzettate e grandi proclami, fra volontà riformatrici e tendenza alla conservazione. Sono diritti centrali al pari di quelli civili del voto, della libertà, della partecipazione, del rispetto della dignità.
Questo Paese, per essere ammodernato e per competere sul piano dello sviluppo e ridurre le disuguaglianze, pensiamo che abbia bisogno di riforme condivise, partecipate. A partire dal fatto che alcune materie, oggi di competenza concorrente sia dello Stato che delle Regioni, devono essere riportate in seno alla competenza esclusiva dello Stato si pensi alla gestione della salute nell’era della pandemia da parte delle Regioni.
Il Servizio del Bilancio del Senato, a maggio 2023 ha passato al setaccio il disegno di legge, rilevando alcune criticità. Nel caso, ad esempio, del trasferimento alle regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato (e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie), ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, col rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate. Le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà a finanziare, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive. E il trasferimento delle nuove funzioni amministrative a comuni, province e città metropolitane da parte delle regioni differenziate potrebbe far venir meno il conseguimento di economie di scala, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione.
Le risorse attribuite mediante compartecipazione infatti, si spiega nel documento, sono influenzate dal gettito del tributo erariale che a sua volta dipende dal ciclo economico che caratterizza in un dato momento il Paese. In una fase avversa dell’economia è lecito aspettarsi una riduzione del gettito del tributo erariale e una riduzione delle risorse da compartecipazione in assenza di una sua rideterminazione. La compartecipazione sui gettiti dei tributi erariali limita i margini di manovra delle regioni rispetto agli effetti determinati dalle politiche di intervento del governo centrale sui medesimi tributi, salvo poter ricorrere ai propri spazi di autonomia tributaria. In altre parole, con le compartecipazioni le regioni non hanno quel margine di manovrabilità tipico dei tributi propri in quanto è assente la potestà di variazione dell’aliquota stabilita dallo Stato.
Infine, in merito alla clausola di invarianza finanziaria, altri effetti onerosi potranno concretizzarsi al momento della determinazione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Ulteriori effetti onerosi potrebbero inoltre derivare nella fase successiva alla determinazione dei Lep, in sede di verifica su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché in sede di monitoraggio degli stessi. In definitiva, con l’autonomia differenziata si correrà il rischio che si affermi un regionalismo delle disuguaglianze che peserà ancora di più sulle fasce povere e indigenti della popolazione italiana.
Ludovico Abbaticchio è presidente nazionale del Sindacato Medici Italiani (Smi)
Bentornato,
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