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Tu non puoi capire – Non gabbie ma reti

Nella nostra società sempre più complessa, la diversità è una caratteristica intrinseca. Ogni individuo possiede peculiarità, sfide e potenzialità uniche.

Quando si tratta di carico di lavoro, è fondamentale riconoscere che alcune persone possono trovarsi in situazioni di svantaggio che richiedono un’attenzione particolare. Il primo passo per adattare il carico di lavoro alle specifiche condizioni individuali è riconoscere che esistono situazioni di svantaggio che possono influenzare la capacità di un individuo di affrontare determinati compiti. Queste situazioni possono essere di natura fisica, come una disabilità o una malattia, o di natura socioeconomica, come l’accesso limitato alle risorse o l’appartenenza a una minoranza svantaggiata, ma potrebbe anche essere la propria dislocazione geografica comportando un aumento di costi, a parità di lavoro, in alcune zone dell’Italia rispetto ad altre.

Per adattare il carico di lavoro alle specifiche condizioni individuali, è necessario promuovere la flessibilità e l’adattabilità nell’ambiente lavorativo. Ciò può significare offrire orari di lavoro flessibili per consentire alle persone di gestire le proprie esigenze personali o familiari. Inoltre, è importante adattare i compiti o le assegnazioni in base alle capacità e alle limitazioni individuali.

Fornire strumenti o tecnologie assistive per le persone con disabilità e ridurre il carico di lavoro durante periodi di malattia o recupero sono altre azioni che possono essere adottate.

Per garantire che il carico di lavoro sia adeguato alle specifiche condizioni individuali, è fondamentale offrire un adeguato supporto e risorse aggiuntive. Uno strumento potente per questo scopo sono le reti di supporto tra colleghi. Queste reti creano un ambiente sicuro e rispettoso in cui le persone possono condividere le proprie esperienze, fornirsi reciprocamente consigli e sostegno. Possono essere strutturate attraverso incontri periodici, gruppi di discussione o piattaforme online non solo offrono un supporto pratico, ma creano anche un senso di appartenenza e solidarietà tra i dipendenti. Questo può contribuire a ridurre l’isolamento e a migliorare il benessere delle persone che si trovano in situazioni di svantaggio. Inoltre favoriscono la condivisione di conoscenze e competenze, consentendo a tutti i dipendenti di beneficiare delle diverse prospettive e esperienze.

Tuttavia, è importante considerare anche gli aspetti che potrebbero minare l’obiettivo di garantire un ambiente lavorativo equo e inclusivo ma su base più estesa, che non sia il semplice ambito aziendale. Un esempio di tale rischio è rappresentato dalle gabbie salariali, che si riferiscono alla pratica di assegnare alle persone un salario in base alla loro “location”. Cioè due persone che svolgono lo stesso lavoro ma in due zone diverse dell’Italia, per esempio una a Milano e un’altra a Bari, possono guadagnare in modo diverso in quanto avendo la prima uno standard e dei costi più alti rispetto alla seconda potrebbe avere un guadagno extra per “adeguamento al costo della vita”.

Ricordo che le “gabbie salariali” sono state introdotte nel 1945 con un accordo tra Confindustria e la CGIL, che era l’unico sindacato di allora, con l’obiettivo di frenare l’aumento generale del costo della vita dovuto all’inflazione. La lira si stava notevolmente svalutando dopo la Seconda Guerra mondiale, il che stava causando aumenti massicci dei prezzi e un’inflazione generalizzata. Alla fine le gabbie salariali furono abolite nel 1969 e sparirono definitivamente solo nel 1972. Ma ora, tra l’intervento del ministro Valditara e del ministro Salvini sono ritornate in auge come possibile soluzione all’aumento del costo della vita e delle difficoltà maggiori presenti in alcune città rispetto ad altre.

Già ci troviamo in un sistema nel quale con oltre 1000 CCNL molti non garantiscono neanche una retribuzione adeguata al vivere degno e dignitoso, così come previsto dall’art 36 della nostra Costituzione, stiamo assistendo sempre più ad interventi da parte della magistratura per cercare di garantire e tutelare i dipendenti verso il dilagare di situazioni non ottimali, l’inflazione sta salendo in tutta Italia e il fatto che le economie del Sud, vedasi anche il sostegno familiare forte, permettano di garantire un tenore di vita “più alto” con lo stesso stipendio, non vuol dire dover essere penalizzati in tal senso. Ricordo che quotidianamente lottiamo affinchè anche in un contratto di lavoro sia garantita sempre e comunque la dignità e la professionalità, indipendentemente dal luogo dove si svolge. Perché spesso è facile sentire discorsi del tipo: “ti assumo a Bari ti pago di meno rispetto a Milano”. Questo è un errore perché, a mio avviso, il corrispettivo è sul lavoro da svolgere non sul costo della vita (che poi ognuno ha il suo).

Dove andrebbero a finire il merito e l’equità, il valore delle persone? Inoltre nell’ipotesi di una persona che vive al Nord percependo una “gabbia salariale” poi torna al Sud e la vede decurtata secondo voi come dovrebbe sentirsi? I calcoli ognuno sa farli a casa propria ed è evidente solo che tutto costa di più e che la cosa in cui gli italiani erano forti, il risparmio, viene quotidianamente minato senza che si trovi la giusta soluzione. Quindi se pensiamo di trovare soluzioni al carico di lavoro, dovremmo iniziare a trovarle non creando ulteriori carichi. Le persone al centro non è uno slogan.

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