Il proprietario non fa la manutenzione? Comune di Brindisi: «Pagano i vicini»

Se il proprietario della porzione di un palazzo non esegue i lavori di manutenzione, ad eseguirle devono essere gli altri proprietari delle porzioni dell’edificio. Anche se non esiste un condominio ma si tratta di proprietà separate. Punto e basta.

Così ragiona l’ufficio Urbanistico del Comune di Brindisi, da settimane sotto accusa su più fronti e con richieste di rimozione dell’assessore barese Dino Borri pervenute sia dai partiti di maggioranza (ad esclusione di Brindisi Bene Comune) che di Confindustria.

L’ultima contrastata vicenda ha per oggetto Palazzo Scolmafora, un immobile che sorge a due passi dalla colonna romana. Dal 2001 l’amministrazione comunale cerca di convincere i proprietari di una porzione dell’immobile (che al suo interno custodisce un giardino-gioiello con un piccolo aranceto) ad eseguire lavori di messa in sicurezza per evitare che l’eventuale caduta di pietre e calcinacci possa causare danni a persone.

La prima ordinanza indirizzata alla proprietaria della porzione del palazzo che da tempo non è sottoposta ad opere di manutenzione risale al 9 gennaio 2001. Dopo 18 anni (l’11 settembre 2019) dal Comune emettono una nuova ordinanza sindacale, ma evidentemente anche in quel caso non si ottiene alcun effetto.

Il 12 aprile scorso è stato eseguito un nuovo sopralluogo per controllare lo stato dei luoghi e così viene rilevato «il permanere dello stato di pericolo per la pubblica e privata incolumità stante il persistere di caduta di intonaco e pietrame di cui è costituita la facciata».

E allora, sulla base di testi unici in materia di leggi sanitarie e di edilizia, nonché del regolamento edilizio comunale, il 9 maggio la dirigente dell’ufficio urbanistico Marina Carrozzo, scrive a tutti i proprietari delle altre porzioni del palazzo, anche a quelli che hanno provveduto a manutenere in buono stato le frazioni di loro competenza, per intimare loro «di eseguire con estrema urgenza, con l’ausilio di ditte specializzate e sotto la direzione di un tecnico abilitato alla professione, tutti i lavori per la messa in sicurezza dell’immobile sottoposto a vincolo». Non solo, la Carrozzo chiede di ricevere entro 15 giorni la relazione tecnica liberatoria riportante gli accertamenti eseguiti e le opere provvisionali realizzate per scongiurare il pericolo incombente», e invita «ad estendere la presente ordinanza anche ad altri eventuali comproprietari che non dovessero risultare dalle verifiche catastali condotte dall’ufficio competente».

Quindi lo stesso Comune che impiega 20 anni prima di decidere di prendere di petto la situazione, pretende dai privati che la situazione si risolva in 15 giorni, che gli stessi facciano indagini su eventuali altri passaggi di proprietà nel frattempo intervenuti, e che mettano mano al portafogli anche se non sono i proprietari del tratto pericoloso.

Eppure nel 2015, in un’altra nota a firma Fabio Lacinio (dirigente ai Lavori pubblici), in una terza lettera inviata a tutti i proprietari di frazione dell’immobile, l’invito era «a volersi concretamente attivare, ognuno per la parte competenziale, al fine di eseguire sul fabbricato tutte le lavorazioni di messa in sicurezza».

Evidentemente qualcosa è cambiato. E via all’ennesimo contenzioso.

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