Michele Emiliano, dal Pd all’impasse in Consiglio regionale fino all’autonomia: «Meloni la bocci»

«L’Autonomia differenziata interessa solo alla Lega che, però, non può esercitare una interdizione sul governo. Giorgia Meloni farebbe bene a dichiarare apertamente la propria contrarietà. La voleva anche il Pd? Chiesero anche a me di unirmi nella richiesta di maggiore autonomia a Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Anche su questo nel Pd è stata fatta autocritica». Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano non ha cambiato idea sui limiti del provvedimento che, stando agli allarmi lanciati da costituzionalisti ed economisti, rischierebbe di accentuare i divari tra Nord e Sud del Paese. Contemporaneamente apre la partita del Fsc (Il fondo per lo sviluppo e la coesione, ndr) con Raffaele Fitto, seduto, a dire del governatore, «su una montagna di soldi» che vanno sbloccati.

Presidente, nella società civile del Sud, l’autonomia differenziata viene davvero avvertita come un problema o si rischia che il dibattito resti solo tra gli esperti?

«Molti sono indifferenti. I sindacati si sono schierati con molta chiarezza e anche da parte di Carlo Bonomi (presidente nazionale di Confindustria, ndr), dalle poche parole che abbiamo scambiato, ho percepito solo indifferenza verso il progetto. Una posizione contraria è stata presa anche dall’Anci, seppur tardivamente».

Chi la vuole allora?

«Nella società civile praticamente nessuno. Solo la Lega e la sua ristretta comunità di riferimento».

E il resto del centrodestra.

«Sono convinto che Giorgia Meloni sia contraria e se fossi in lei verrei allo scoperto. Teme per la stabilità del governo e spera che il ddl Calderoli abortisca da solo in parlamento».

Lei al suo posto sarebbe meno cauto?

«Penso che dovrebbe dire cosa pensa realmente. Sarebbe la prima cosa buona del suo governo dopo tanti flop. Ne uscirebbe rafforzata perché la stragrande maggioranza del Paese non condivide questo progetto che rischia di minare la solidarietà nazionale. Non si può concedere alla Lega un potere di interdizione così importante sull’esecutivo. Se ne hanno la forza avviino un processo di revisione costituzionale, visto che intendono cambiare anche l’assetto del governo in chiave presidenzialista».

Cosa la spaventa di più del disegno della Lega?

«Il ridimensionamento del ruolo del Parlamento, con il riferimento alla legge 116, e il fatto che da nessuna parte venga scritto dove vadano trovati gli oltre 70 miliardi necessari a riequilibrare i livelli essenziali delle prestazioni tra Nord e Sud. Anzi, nel ddl Calderoli si legge che tutto deve avvenire senza variazioni di finanza pubblica».

Cosa cambia tra questo progetto e quello che anche il Partito Democratico ha sostenuto nella scorsa legislatura? Bonaccini, oggi contrario al ddl Calderoli, è stato tra i primi a chiedere maggiori poteri per l’Emilia Romagna.

«Io credo che fosse un errore anche quello, tra l’altro non commesso dal partito, in quel periodo impegnato a lavorare alla successione di Matteo Renzi alla guida della segreteria, ma da alcuni dem impegnati nella compagine governativa. Mi fecero pressioni affinché la Puglia si unisse a Emilia Romagna, Lombardia e Veneto nella richiesta. Su questo il partito ha fatto una profonda autocritica, anche grazie al dibattito che abbiamo innescato in questi mesi».

Non teme che possano riemergere dopo il congresso le differenze tra un Pd del Sud e uno del Nord?

«Chiunque vincerà le primarie sono certo che si opporrà a questo disegno di legge. In Emilia Romagna le posizioni di Bonaccini e di Schlein sono molto chiare. La Toscana è molto prudente. Le altre due Regioni a guida Pd sono Campania e Puglia. Non vedo come ci si possa dividere su questo punto. Ripeto, c’è un atteggiamento più critico rispetto al passato».

Elly Shlein non ha raccolto il suo invito a fare la vice segretaria del partito in caso di sconfitta.

«Sono stato frainteso. La mia proposta non era rivolta a lei ma a chiunque dei candidati arrivasse secondo».

La guerra e le conseguenze economiche non possono relegare in secondo piano il Pnrr, con la necessità per l’Italia di realizzare tutti i lavori entro il 2026. I problemi dei Comuni nel partecipare ai bandi sembrano passati in secondo piano. Sono stati risolti?

«Per primi abbiano sottolineato l’errore nel delegare così tante responsabilità ai Comuni relegando le Regioni a un ruolo marginale. Come Puglia abbiamo provato a mettere a disposizione degli amministratori una cabina di regia, con l’ausilio del nuovo capo di gabinetto Giuseppe Catalano. Parliamo di un ex collaboratore del ministro Giannini ai Trasporti, a capo della missione che seguiva le infrastrutture più importanti del Paese. Stiamo provando così ad aiutare i Comuni che non hanno il personale adatto per concorrere ai bandi. Il tutto, però, senza un “substrato” normativo che regoli questa collaborazione e aspettando qualche segnale da Raffaele Fitto».

Non c’è collaborazione con il ministro che ha in mano il Pnrr?

«Fino ad oggi no. Basti pensare che con un decreto ha fatto fuori l’Agenzia della Coesione e “internalizzato” al ministero tutti i finanziamenti. È seduto su una montagna di denaro che bisogna fare funzionare. Attendo di sapere da lui come intende collaborare con noi. Sono sempre disponibile ad incontrarlo, anche perché la Puglia aspetta anche che vengano stanziati i fondi nazionali per i co-finanziamenti comunitari dei prossimi sei anni. Siamo la prima Regione in Italia per capacità di spesa e la prima al Sud per capacità di incremento del Pil. Non si può rischiare un rallentamento».

Il governo, intanto, ha impugnato la legge regionale che prolunga la carica dei consiglieri pugliesi sei mesi oltre le sue eventuali dimissioni. Se lo aspettava?

«Non la votai e credo che non se ne sentisse il bisogno. Ciò detto io rappresento l’esecutivo. Il Consiglio era libero di agire come meglio ritenesse».

La spaccatura in Aula con “Azione” rischia di ingessare i lavori consiliare. State lavorando a una soluzione?

«Nella mia richiesta di dimissioni di Clemente dall’Ufficio di Presidenza c’è solo la volontà di garantire il diritto della maggioranza di avere tre elementi su cinque. Il suo passaggio a una forza ostile alla maggioranza fa saltare questo equilibrio. Essendoci un seggio vacante si potrebbe procedere anche con la nomina di un esponente della nostra parte politica. Attendiamo un segnale anche dal centrodestra».

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