«Le radici sono cultura odori e sapori»

Un unico orologio in tutto il borgo ricorda che il tempo è importante, ma non quando è la sua mancanza a guidare l’urgenza di vivere. Non un’indicazione o un cartello con “tu sei qui”, eppure, il timore di perdersi non sfiora neanche. Perché, ammesso che accada, ci si ritrova comunque nella bellezza della quiete, nel caldo dei sorrisi e nel buon gusto dei sapori del nostro territorio. E, allora, non vorresti essere in nessun altro posto che non sia qui: Borgo Egnazia. Una delle esperienze in cui diventa sublime perdere la bussola del noto è proprio quella della cucina, delle “storie di sapori d’altri tempi” raccontate dalla maestria contemporanea, dalla creatività stupefacente e dall’amore semplice di Domingo Schingaro: barese, classe 1980, dal 2016 executive chef del resort fra i più incantevoli di Puglia.

Domingo Schingaro, come si fa a far sbocciare un talento come il suo?
«La cucina inizialmente è stato un ripiego (avrei voluto fare il pescatore, come mio padre), ma grazie al mio professore del Perotti, Domenico Maggi, un pioniere della cucina italiana e pugliese, me ne sono innamorato». Però la Puglia gli sta stretta, cerca una visione diversa della cucina dei banchetti; così a 18 anni, vola a Londra: «A quell’età è un po’ come buttar via tutto quello che secondo te è negativo, rinnegare le tue origini». Dopo alcune esperienze in Europa, torna in Italia, e arriva al fianco di Andrea Ribaldone da I Due Buoi di Alessandria, dove nel 2015 conquista la stella Michelin; sempre con Ribaldone, lo stesso anno, è Resident Chef del ristorante Identità Expo a Milano.
Come ha deciso di tornare alle sue radici?
«Giri, giri, e ti rendi conto che ti manca qualcosa. Soprattutto le cucine internazionali sono piene di prodotti italiani, vedi gente che impazzisce per una cassetta di cime di rapa. E inizi a capire che quello che sembrava banale, può essere, invece, la tua arma vincente. Le radici sono luogo, sono cultura, sono odori, sapori, mentalità. Nel 2016 ho compreso che questa poteva essere un’opportunità perché, a differenza di Alessandria, dove ho studiato e imparato ad amare una cultura che non era mia, qui era già mia a tutti gli effetti».
È stato difficile ritrovare la Puglia dentro di sé?
«In realtà è bastato pochissimo tempo a contatto con gli odori, i colori, la terra, il mare: i ricordi si sono riaccesi ed è stato naturale metterli in una tavola contemporanea, capendo come non uscire da quella linea, dal pensiero che mi piaceva, da quello che è il buono».
Quanto conta in tutto questo l’amore?
«L’amore è la base fondamentale. Il gesto di cucinare è un gesto di accudimento e accudire qualcuno è un gesto d’amore. In questo mestiere riceviamo gente che è già felice; noi dobbiamo solo aumentare quella felicità».
E lei? Cosa la rende felice?
«Avere una squadra che abbia la mia stessa visione. Perché lì mi rendo conto di aver trasmesso qualcosa. Il punto non è insegnare una ricetta: non voglio degli esecutori, altrimenti mi riempirei la cucina di stagisti. No, io voglio dei pugliesi, che abbiano un palato allenato dalle loro madri, che capiscano l’importanza di quell’ingrediente che cresce qui in Puglia, magari solo qui. Il mio sogno è vedere il nostro territorio che cresce sempre di più a livello gastronomico, con un ruolo fondamentale almeno nel panorama nazionale. La maggior parte dei sous chef dei migliori ristoranti a due o tre stelle sono pugliesi. Perché sono dei gran lavoratori e hanno un grandissimo palato. Immagina se tutti loro un giorno facessero quello che ho fatto io, cosa diventerebbe la Puglia».
Gli ingredienti son quelli alla fine, come si fa a creare uno dei suoi piatti incredibili?
«Lo pensavo anch’io, in realtà bisogna studiare per accorgersi che ci sono più di 50, 60 varietà di pomodoro in Puglia, che di cime di rapa ce ne sono 23, di cicorie quasi 30, e che ognuna ha una sua caratteristica. E questo solo per i vegetali: il nostro è un territorio così ricco, abbiamo anche due primavere, il foie gras non è più figo degli i’nghimridd, il granchio del nord Europa non è più buono delle nostre pelose. Prendere spunti dalle piccole cose può dare grandi soddisfazioni».
Con questa visione nel cuore e sul palato, e 87 persone, tutte pugliesi, in brigata, Domingo crea i grandi menù de I due camini: Mediterraneo, nato per continuare a viaggiare sulle ali del gusto quando la pandemia impediva ogni spostamento; Radici, che racconta la terra, i profumi e i sapori della Puglia vegetale; e l’ultimo, Le memorie della Puglia, che racconta la nostra storia non scritta ma trasmessa verbalmente attraverso i proverbi e, da ora, anche dai piatti di questo poeta del gusto. Grazie a lui, anche I due camini nel 2019 ha ricevuto la stella Michelin. Tu chiamala, se vuoi, cucina; noi lo chiamiamo amore.

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