La sfida di automatizzare la raccolta differenziata

Michele Carbotti è il proprietario del progetto Minox, laureato in scienza dei materiali del dipartimento di Fisica presso l’Università di Bari Aldo Moro, ha da sempre il “pallino” dell’inventore e come tutti i giovani creativi ha sempre creduto che le difficoltà fossero parte del sistema e che non bisognasse mollare. Attento alle tematiche ambientali e della sostenibilità ha sviluppato questo progetto che va proprio in questa direzione per automatizzare la raccolta differenziata. Inutile sottolineare quanti rifiuti produciamo quotidianamente e quanta attenzione in più bisognerebbe prestare alla differenziazione e al suo corretto smaltimento, l’importante è partire sempre dalla consapevolezza. Quella che lui e ora il suo team hanno sviluppato nel corso del tempo.

Da quanti anni sta progettando Minox?
«Minox è nato nel dipartimento di Matematica nel 2017 da una chiacchiera con i colleghi sulla possibilità di automatizzare la raccolta differenziata. Sembrava qualcosa di impossibile e quasi non necessario considerando i tempi ma con Onofrio Romito, che ora lavora in Portogallo, ci siamo trovati a passare giornate intere a pensare, progettare e cercare di realizzare un modello. Poi lui è partito e sono rimasto io da solo ma non ho mai mollato anche se tutti mi dicevano che era molto bello ma difficile, che da solo era ancora più complesso. Non mi conoscevano bene per dire questo altrimenti avrebbero saputo che io credo che se si crede in qualcosa, soprattutto se innovativa e che può impattare sul miglioramento della vita delle persone, bisogna viverla fino alla fine».
Quindi da cosa è partito per la separazione dei rifiuti?
«Ho studiato approfonditamente il sistema meccanico per la separazione dei rifiuti ad aria compressa sfruttando la spinta aerodinamica ma, grazie a Vito Pesola, un ingegnere, siamo arrivati alla scelta definitiva. Quella di utilizzare la parte termina del materiale cioè la conduzione, in modo che la differenza di calore generasse un diverso suono. In questo modo riuscivamo anche ad abbattere i costi».
Ma la salita era ancora lunga vero?
«Sì perché nel frattempo stavo anche sviluppando altri progetti e ho partecipato ad un evento in Tecnopolis, dove ho avuto la possibilità di conoscere Vincenzo Montaruli che è ancora oggi uno dei miei soci. Ormai eravamo nel 2018 e cercavamo fondi e persone con cui poter realizzare il progetto. Ci siamo interfacciati con il BaLab dell’Università di Bari, abbiamo partecipato a dei concorsi per giovani imprenditori, insomma non siamo stati fermi. Tutto questo ci ha permesso di conoscere altre persone, di confrontarci con ragazzi e ragazze con le loro idee, di fare rete che è una delle cose fondamentali quando si vuole sviluppare un’idea».
La spinta di accelerazione quando è avvenuta?
«Abbiamo partecipato a StartUp University e abbiamo iniziato a costruire la parte in legno e continuato a migliorare la ricerca di fattibilità arrivando ad avere un’efficienza dell’89% sfruttando la strutturazione meccanica. Eravamo felicissimi al punto che nel 2019, finito il progetto ed averlo avvalorato abbiamo iniziato a fare richiesta per il brevetto italiano (arrivata a fine 2019), farci conoscere anche nei Comuni dove lo spreco è incredibile a tutte le iniziative dove fosse possibile partecipare. Abbiamo fondato l’associazione e la nostra società, grazie alla vittoria del Bando Pin, a Marzo 2020 due giorni prima del lockdown».
Un duro colpo o una possibilità questo Covid?
«All’inizio un duro colpo, ci siamo visti inermi ma determinati visto che non potevamo più incontrarci e per noi è fondamentale per sviluppare, non potevamo più farci conoscere o prendere contatti se non on line. Ma abbiamo avviato anche la domanda per il brevetto europeo oltre che programmatori e in questa ricerca ho conosciuto gli altri due ragazzi che ora fanno parte del team, Giuseppe Ricci e Donato Micele con i quali abbiamo iniziato ad utilizzare il sistema di reti neurali che ci ha portato al 99% dell’efficientamento. Abbiamo avuto un overfitting della programmazione e abbiamo dovuto fare più acquisizioni ma ora Minox riconosce oggetti di plastica, metallo e vetro».
Ma il futuro non si sa se sarà qui vero?
«Crediamo fermamente nel valore della nostra terra, delle potenzialità che ci sono, ma non posso, da imprenditore, non considerare le difficoltà e le scelte da fare non solo dettate dal cuore ma dal business. Abbiamo preso contatti con il Comune di Martina Franca, Taranto, Bari ma sono tutte interlocuzioni che in termini economici non ci stanno portando ritorni. Al contempo abbiamo degli accordi con un’azienda in Germania, un’azienda di Bergamo e una di Lecce. La domanda che noi ci stiamo ponendo quotidianamente è: il territorio è pronto per la nostra startup? Speriamo che la risposta possa essere sì».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Exit mobile version