«Con i miei violini riesco a curare l’anima»

Ama realizzare le sue opere nel silenzio dell’alba («dalle 4 del mattino alle 7 il tempo è dilatato, centuplicato quasi»), le accarezza come esseri viventi e per loro paga pure un biglietto aereo, nei suoi viaggi dall’Europa alla Cina. Le opere in questione sono violini, violoncelli, contrabbassi, pensare di imbarcarli come un normale bagaglio è impossibile. Ester Passiatore, liutaia barese dall’animo poetico, parla del suo lavoro come di “una scelta di vita” e si emoziona se pensa a chi la contatta dal lontano Taiwan o da Vienna, patria della musica sinfonica. Ha una sorella gemella, fa il medico. «Lei cura il fisico, io l’anima».

Non capita tutti i giorni di pensare: voglio fare la liutaia. O no?
«Direi di no. Sono inciampata in questo termine a 17 anni, perché avevo uno strumento da riparare e scoprii grazie a internet un mondo speciale. Erano i primi anni della navigazione sul web. Capii che nella vita non volevo sostenere tesi o vivere con le mie parole, preferivo far parlare gli oggetti al posto mio, mi affascinava il lavoro manuale, la creazione».
E i suoi genitori che hanno pensato?
«In un primo momento sono rimasti perplessi, non avevano la minima idea di cosa stessi andando a fare, ma in realtà sin da piccola mi hanno educato loro al gusto per la musica e gli strumenti, suonavo da ragazzina, infatti poi mi hanno incoraggiata, di solito questo è un lavoro che si tramanda di generazione in generazione, io invece sono partita da zero».
Un padre ingegnere e una madre neuropsichiatra. La musica non c’entra.
«Invece no, se ci pensa è un binomio interessante che si concilia con la mia arte: realizzare i miei strumenti significa applicare la chimica all’acustica, la tecnica ai suoni dell’animo umano. Quindi la sintesi perfetta di ingegneria e psiche».
Stupefacente. Ma come si diventa liutai?
«Dopo il diploma di liceo classico ho seguito per quattro anni una scuola specifica a Milano, ho svolto periodi di tirocinio, apprendistato e collaborazione nei laboratori di maestri affermati nel settore come il liutaio restauratore Carlo Chiesa a Milano e l’architetto barocco Fausto Cangelosi a Firenze. Sono rimasta a Milano per otto anni».
E poi ha deciso di vivere a Bari?
«Sapevo a cosa andavo incontro tornando giù, non ci sono i laboratori che trovi a Milano, ma è anche vero che abbiamo i musicisti e c’è bisogno di me, perciò mi sento più utile».
Riceve richieste da tutto il mondo.
«Sì, anche dalla Cina, ricordo quando sono andata nella fiera di strumenti più grande del mondo, io mi sentivo minuscola, fu un azzardo, ma per gli altri Paesi il solo fatto che possano avere un violino realizzato in Italia è già un valore aggiunto».
Perché?
«All’estero la liuteria italiana è considerata un’eccellenza. Il segreto è nel legno, i tronchi di abete che scendono giù nel Po dalla Val di Fiemme sono molto pregiati e da lì poi il culto di nomi noti come Stradivari e Guarneri che hanno fatto la storia degli strumenti ad arco, Cremona e Milano ne sono la patria».
Quanto tempo impiega per realizzarli?
«Almeno due mesi, ci sono 70-80 parti da sagomare e incollare, non uso certo una colla commerciale, di quelle sintetiche che si asciugano subito, il segreto e la difficoltà è tutta lì, uso una colla organica, che richiede almeno otto ore per asciugare, quindi si immagini che per ogni pezzo devo attendere molto tempo prima di proseguire. Poi mi diletto anche nella scultura di alcune teste scolpite, realizzo volti di muse o satiri».
Quando ha realizzato il primo violino?
«A 19 anni, e il primo l’ho venduto a una signora che ancora si ricorda con piacere di me».
Di fatto il suo è un mestiere che va in controtendenza rispetto ai ritmi vorticosi della modernità.
«Infatti, è fatto di lentezza, di silenzi, è proprio una questione di tempo, puoi anche avere talento ma se non affini l’esperienza con lunghi lavori non ottieni nulla. Pensi che a volte preferisco lavorare alle 4 del mattino per avere la sensazione del tempo dilatato, non si sente alcun rumore, una magia.
Una birra con gli amici se la concede?
«Certo, sono una persona normale, vado al cinema, a vedere concerti, il bello di questo lavoro è che mi dà la libertà di organizzarmi, però un po’ sì, vivo in modo ritirato, diversamente dai musicisti che sono più frenetici, anche nelle richieste. Ma ci sta nel rapporto col cliente, dopotutto io non riesco a stare senza il mio lavoro».
È una specie di terapia?
«Esatto, scolpire, costruire piano piano mi fa star bene, se non lo faccio sto male».
Un’esperienza lavorativa che non dimenticherà mai.
«La liuteria regala ogni giorno esperienze straordinarie, ma a pensarci, fu realizzare un contrabbasso che spedii a Vienna. Farlo artigianalmente non è cosa usuale, a vederlo era più grosso di me, alto 1,80 metro. E, ripeto, non dimenticherò mai il mio viaggio in Cina nella fiera più grande del mondo, ero spaventata dall’investimento che stavo facendo, è costoso partecipare a questi eventi, pagare lo stand, il biglietto agli strumenti, che in stiva potrebbero rovinarsi, troppo rischioso. Ma se ci penso, mi brillano ancora gli occhi».

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