La Corte dei conti non è stata tenera nell’evidenziare i ritardi dell’Italia nella spesa dei fondi e nella realizzazione del Pnrr. Un dato su tutti: dall’inizio del 2023 risultano erogati un miliardo e 200mila euro a fronte dei 33,8 previsti nell’arco dell’anno. Davanti a numeri tanto impietosi, il ministro Raffaele Fitto non ha saputo fare di meglio che invocare «un atteggiamento costruttivo».
Ma in che cosa dovrebbe consistere questo atteggiamento costruttivo, secondo il ministro degli Affari europei e del Sud? Probabilmente in una sorta di “acquiescenza” davanti all’emendamento con cui il governo Meloni punta ad allentare i controlli sulla spesa del Pnrr da parte della Corte dei conti. Si tratta di una pia illusione, come la reazione rabbiosa dei magistrati contabili alla presentazione dell’emendamento conferma ampiamente.
La strategia di Fitto altro non è che un tentativo di nascondere le gravi criticità che accompagnano il Pnrr fin dall’inizio e che adesso rischiano seriamente di farlo naufragare. I problemi sono sostanzialmente due: da un lato la generale lentezza dei processi burocratici della pubblica amministrazione, dall’altro le carenze di personale e competenze soprattutto nei Comuni del Sud e delle aree interne. Per ricevere le risorse e realizzare gli interventi sul proprio territorio, infatti, le amministrazioni locali devono mettere su bianco un progetto e preparare la documentazione richiesta per la partecipazione ai bandi; dopodiché, ottenuto il finanziamento, sono tenuti a indire le gare d’appalto e, aperti i cantieri, a rendicontare l’avanzamento dei lavori e le spese: operazioni complesse che aggravano l’attività ordinaria dei Comuni, già abbondantemente in affanno. La paradossale conseguenza è che a correre il rischio di rimanere a secco di fondi per i progetti sono soprattutto le amministrazioni meridionali e periferiche.
E, in questo contesto, che cosa fa Fitto? Sfoggia un “atteggiamento distruttivo”, cioè l’esatto opposto di quello che ha chiesto alla Corte dei conti. In primo luogo insiste con l’allentamento dei controlli da parte della magistratura contabile, mossa scellerata per almeno due motivi: da un lato non contribuisce ad assicurare la necessaria trasparenza nella gestione di soldi pubblici, dall’altra apre un pericoloso fronte di scontro non solo con le toghe ma soprattutto con l’Unione europea che – è il caso di ricordarlo – non ha ancora versato all’Italia la terza rata dei fondi del Pnrr, attesa ormai dalla fine del 2022. In secondo luogo, Fitto pensa a rinegoziare il Pnrr arrivando a ipotizzare anche la rinuncia a decine di asili nido, opere strategiche per consentire a migliaia di donne di conciliare i tempi di lavoro e famiglia e di uscire così dal tunnel della disoccupazione. Molto più logico sarebbe stato, invece, velocizzare l’attuazione del Pnrr tramite un massiccio piano di assunzioni nella pubblica amministrazione: una strategia che il Governo ha tentato con troppa timidezza, prevedendo pochi posti e mal pagati. È questo l’atteggiamento costruttivo?