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Immigrazione? No. Il vero problema dell’Italia è l’emigrazione

L’immigrazione è una delle grandi sfide con le quali società e istituzioni italiane sono chiamate a confrontarsi. Più che dell’immigrazione, però, la politica del nostro Paese farebbe bene a preoccuparsi dell’emigrazione. O, meglio, di quel fenomeno che il demografo Alessandro Rosina ha definito “degiovanimento”. Per comprenderlo basta dare un’occhiata ai numeri contenuti nel rapporto recentemente presentato da Svimez. Il dato che balza all’occhio è quello che riguarda i bambini di età compresa tra 5 e 14 anni.

Di qui al 2025, infatti, la Puglia perderà 84mila bimbi, la Sicilia 89mila, la Campania 122mila, il Lazio addirittura 142mila. Complessivamente, gli studenti si ridurranno del 21,3% nel Mezzogiorno, del 26 al Centro e del 18 al Nord. Di conseguenza, Svimez prevede un concreto rischio di chiusura delle scuole in 3mila Comuni con meno di 125 bambini, il 38% dei quali localizzati in quelle aree interne dell’Italia che già adesso si stanno spopolando.

Ma la denatalità non è l’unico problema col quale la politica deve fare i conti e che rischia di minare il tessuto economico-sociale e il sistema previdenziale del nostro Paese. Già, perché non bisogna dimenticare che, negli ultimi dieci anni, circa 200mila giovani hanno lasciato le regioni del Mezzogiorno per studiare, lavorare e stabilirsi in quelle del Nord.

Emblematico e drammatico, in tal senso, è il dato relativo alla Basilicata, dove l’83% dei ragazzi sceglie di iscriversi a università localizzate da Roma in su e lì intende avviare il proprio percorso formativo e professionale. E la fuga non è soltanto dal Sud al Nord, ma anche dall’Italia all’estero se è vero, come è vero, che negli ultimi dieci anni ben 140mila giovani si sono trasferiti in un altro Paese.

Se si analizza attentamente lo scenario disegnato da Svimez, dunque, si comprende come il vero problema dell’Italia non sia tanto l’immigrazione quanto l’emigrazione. Dove per emigrazione si deve intendere non solo la fuga di “cervelli” e forza lavoro all’estero, ma anche e soprattutto il calo delle nascite col conseguente spopolamento di interi territori del Paese.

In un contesto simile, che cosa dovrebbe fare il Governo?

Innanzitutto rafforzare il welfare familiare. Strumenti come l’assegno unico universale e il bonus asili vanno rafforzati ampliando la platea dei beneficiari e facendo in modo che questi ultimi godano di contributi più consistenti. Si tratta di strumenti di conciliazione dei tempi di vita e lavoro importanti quanto gli asili nido, la cui capillare diffusione sul territorio meridionale consentirebbe a migliaia di donne di seguire un percorso professionale e incrementerebbe il pil di almeno dieci punti.

E poi occorrono sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando il carattere frammentario degli interventi. Invece il governo Meloni che fa? Sempre secondo Svimez, le misure contenute nella manovra in discussione in Parlamento sottrarranno circa 5,3 miliardi allo sviluppo del Mezzogiorno. Il mancato rinnovo di Decontribuzione Sud, cioè degli sgravi che negli ultimi anni hanno consentito alle imprese di assumere tanti giovani, costerà 25mila posti di lavoro e due decimi di crescita del pil meridionale.

E queste misure si inseriscono in un generale contesto di tagli al sostegno ai redditi in un’Italia dove si contano 14 milioni di lavoratori poveri. Ecco perché i dati contenuti nel rapporto Svimez suonano come un campanello d’allarme e impongono un rapido cambio di rotta. A meno che non si vogliano condannare il Mezzogiorno e il resto d’Italia a un futuro fatto di spopolamento e desolazione, sottosviluppo e povertà.

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raffaele tovino

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