«L’avvocatura? ha il dovere di far sentire la propria voce». Ad affermarlo è l’avvocato Salvatore D’Aluiso, in merito alla necessità di una riforma organica della giustizia.
Avvocato, quale opinione riserva alla riforma Cartabia?
«Si propone evidentemente lo scopo di rendere più spedita la definizione dei procedimenti, così come richiesto insistentemente dalle Istituzioni Europee. Per il vero da oltre trenta anni si cerca di risolvere il problema della riduzione dei tempi processuali, intervenendo reiteratamente sulle norme ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
Cosa manca?
«A mio parere tali provvedimenti legislativi possono contribuire al raggiungimento del risultato solo se adeguatamente abbinati ad una organica riforma dell’ordinamento giudiziario e ad un incremento dei ruoli sia della magistratura che del personale amministrativo, investendo le necessarie risorse finanziarie anche in favore delle strutture e della organizzazione degli Uffici. D’altra parte è noto che il Pnrr impone la “riduzione dei tempi del giudizio” in quanto funzionale ad una maggiore competitività del sistema Paese. In altri termini una giustizia celere attrae gli investimenti stranieri e favorisce quelli locali; di conseguenza impiegare risorse per rendere efficiente la macchina giudiziaria, secondo studi specifici, consentirebbe un aumento del pil non inferiore a due/tre punti percentuali. Ciò a dimostrazione che si tratterebbe non di un costo ma di un investimento altamente produttivo. Ovviamente ogni riforma richiede soprattutto una adeguata applicazione delle norme introdotte. A tal proposito cito, quale esempio riveniente dalla mia diretta esperienza professionale, la disciplina dell’udienza preliminare. Il legislatore del 1989 attribuì a tale istituto la fondamentale funzione di filtro: a dibattimento sarebbe dovuto arrivare un numero limitato di processi, garantendo così la speditezza della loro definizione. Come noto, è avvenuto esattamente il contrario. Anche quest’ultima riforma è intervenuta sull’argomento prevedendo che l’imputato debba essere prosciolto già in tale sede ove gli elementi acquisiti: “Non consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna” all’esito della fase dibattimentale. Molto apprezzabile quindi lo sforzo del legislatore che però rischia di rimanere ancora una volta vano».
È andata diversamente nel rito civile?
«Direi di no, citando ad esempio il rito sommario, la normativa in tema di semplificazione dei processi e il filtro in grado di appello. Pertanto anche la riforma “Cartabia”, sulla quale pure gli studiosi prospettano numerose criticità, tra tutte la somiglianza al mal riuscito rito societario, è destinata a fallire se non applicata in ossequio ai principi che l’hanno ispirata».
In tale contesto che ruolo si può attribuire all’avvocatura?
«Ha il diritto e, ancor prima il dovere, di far sentire la propria voce sia attraverso la sua nutrita presenza in Parlamento che attraverso le proprie Istituzioni e rappresentanze associative. Il contributo che l’avvocatura può fornire assume una rilevanza determinante in quanto deriva da una specifica formazione culturale e da una quotidiana esperienza in grado di verificare sul campo l’efficacia di qualsiasi riforma. Ovviamente tale voce è necessario che sia indipendente ed autorevole perché venga adeguatamente ascoltata».
Quale rilevanza attribuisce al rapporto con la magistratura?
«Fondamentale, in quanto siamo i principali protagonisti della giurisdizione. Tale rapporto deve basarsi su un reciproco rispetto e sull’altrettanto reciproco riconoscimento dell’importanza del ruolo svolto dall’interlocutore».
Ritiene che il Consiglio dell’Ordine possa contribuire a migliorare il servizio giustizia?
«Solo la Politica, con la P maiuscola, può affrontare e risolvere gli annosi problemi della giustizia ma sono profondamente convinto che sul territorio il Consiglio dell’Ordine abbia la possibilità di intervenire. Ci sono infatti disfunzioni che possono agevolmente essere rimosse attraverso un costruttivo e sereno confronto con i dirigenti degli Uffici Giudiziari che si basi sull’effettiva volontà di intervenire».
Quale prospettiva vede per l’avvocatura?
«Talvolta mi è capitato di sentire che si tratti di una storia di sconfitte. Ove ciò fosse vero, mi piace pensare che un giorno si possa raccontare una storia diversa».