Quando si parla di coste, in Italia, si parla di mare cristallino e di spiagge dorate tra le più belle al mondo.Ci si inebria al solo pensiero, tanto sono accoglienti, capaci di attrarre turisti esigenti e soddisfare ogni tipo di bisogno, vista anche la varietà di servizi e la compresenza di spiagge libere meglio votate ai più giovani.Il tema della costa, al di là del fascino trasversale che riveste, per un giurista appassionato e da tempo dedito al demanio marittimo occupa, in questo momento, una parte importante del proprio studio e della propria attività (di avvocato) essendo un tema presente ai tavoli istituzionali e soprattutto governativi per le imminenti “gare” – sic et simpliciter – che saranno allestite a breve a causa della scadenza delle concessioni demaniali marittime (o concessioni balneari, per intendersi) prevista per la fine del 2023.Chi è del mestiere, nel senso di operatore economico titolare di una concessione, come pure chi segue le vicende di settore sa bene cosa intendo; le concessioni turistiche andranno a scadere il prossimo 31 dicembre 2023 secondo quanto stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che lo scorso novembre, con le sentenze n. 17 e 18, ha fissato tale termine ponendo fine (si fa per dire) ad una annosa, complessa e a tratti preoccupante diatriba tra l’Italia e l’Europa che vede la prima “responsabile” della violazione dei principi comunitari in tema concorrenza per aver prorogato, con plurimi interventi, le concessioni in essere blindando il sistema e rendendolo impermeabile al mercato.Dopo le pronunce, il Governo ha ripreso con slancio la formazione della legge di riordino delle concessioni e, quasi in parallelo, sta proseguendo l’iter della legge sulla concorrenza inserendo al suo interno un apposito spazio dedicato alla mappatura delle coste ed alla ricognizione dell’intero demanio marittimo costiero; in sintesi, attraverso due strade, l’una votata al tema specifico delle concessioni l’altra a quello tentacolare della concorrenza, la politica sta riprendendo, pare con determinazione, quel processo di riforma dell’intero settore che echeggiava in parlamento da almeno due legislature (e sette governi, senza approdare a risultati concreti).
Senza ricordare qui quella che in più canali web e non solo, più o meno informati e competenti, è stata bandita come “l’asta per le concessioni balneari” (o meglio “all’asta le concessioni balneari”), si vuole, in questo breve spazio, focalizzare l’attenzione su quell’aspetto che, a livello tecnico e pure giuridico, dovrebbe interessare il decisore alle prese con la legge di riforma, una legge che, se ben congegnata come ci si augura e attende, saprà dare effettive risposte all’intero settore e non solo alla questione “gare”.Il demanio marittimo è in capo allo Stato, è parte dell’intero patrimonio di cui lo Stato è proprietario e diverge rispetto a quelli che sono i beni c.d. “patrimoniali” per un regime giuridico rafforzato (non essendo usucapibile, non potendo essere venduto e/o fatto oggetto di atti dispositivi etc…); lo Stato ne vanta la proprietà ma non la gestione, perché questa è rimessa alle Regioni le quali hanno poi, dopo il 1998 a seguito del c.d. decentramento amministrativo (originante dalle leggi Bassanini), delegato la funzione ai Comuni.
Sono gli Enti Locali, quindi, ad occuparsi direttamente delle concessioni, e lo fanno attraverso un ventaglio di attività e procedimenti che partendo dal rilascio della concessione arrivano sino alla sua eventuale revoca e/o decadenza, come pure (all’opposto) al suo rinnovo e/o proroga provvedendo “nel mentre” ad incamerare i canoni demaniali (che sono di competenza dello Stato, per cui i Comuni si limitano ad ordinare l’introito da devolvere allo Stato), a vigilare sulla corretta esecuzione del rapporto riscontrando, nel caso, eventuali abusi e spiccando le misure sanzionatorie previste dal codice marittimo. Peraltro anche l’attività edilizia sulle coste è di competenza dei Comuni, che dunque in affiancamento alle altre attività devono curare la relativa vigilanza in termini di abusi e/o illeciti edilizio-urbanistici.
Oltre allo Stato e ai Comuni, da qualche parte sta l’Autorità Marittima. Faccio riferimento alle Capitanerie di porto, alle Delegazioni Spiaggia, alle Direzioni Marittime, a quello che fino a prima del passaggio di funzioni ai Comuni era l’interlocutore qualificato nell’ambito delle concessioni demaniali, quell’interlocutore che “aveva in mano” per intero, complessivamente, le concessioni essendo competente al rilascio, al rinnovo, a curare in buona sostanza tutto ciò che concerneva il rapporto che in concreto si instaurava (instaura) tra lo Stato e l’operatore economico attraverso l’atto pubblico chiamato “concessione”. La ridistribuzione dei compiti ha fatto sì che l’Autorità Marittima continui oggi a svolgere una funzione di vigilanza sul demanio marittimo che appare però priva di un effettivo e sostanziale spessore, rimettendosi di fatto al Comune le decisioni ultime.
Da altra parte stanno le Regioni, che dopo la delega ai Comuni assolvono un compito privilegiato, rispetto alle concessioni, invero nella pianificazione costiera generale, perché alle conferenze di servizi per le nuove concessioni si trattengono dal partecipare, o partecipano formalmente, o si limitano a “rimandi” al piano delle coste.
C’è poi l’Agenzia del Demanio, che rappresenta lo Stato, e per esso svolge (recte dovrebbe svolgere) l’insieme dei compiti che riguardano direttamente la proprietà demaniale, con un elenco di funzioni – qui non riportato, ma facilmente evincibile dal codice della navigazione – che restano a volte sulla carta perché, anche qui, “ormai è tutto in mano ai Comuni” (quanto volte ho sentito, e visto scrivere seppur con altri termini, questa locuzione).
Poi, ed infine, da altra parte si muovono l’Agenzia delle Dogane, le OO.PP. Genio Civile, l’Agenzia delle Entrate tra i centri decisionali che, sebbene meno attivi degli altri, comunque gravitano in questo “emisfero” e partecipano della sorte delle concessioni seppur in precise, scandite, attività e procedimenti.Un coacervo di centri propulsori, in pratica, un insieme variegato di Enti che sebbene preposti alla tutela di interessi differenti scontano ciò che in Italia spesso accade, ossia un’idea “policentrica” non accompagnata da un regime adeguato di compiti e responsabilità.
Si è provato a parlare, ed attuare, anche di federalismo demaniale con riguardo al demanio costiero, ma il progetto preannunciato dal D. Lgs n. 85/2010 nel quale si è proposto il c.d. federalismo demaniale tra le azioni miranti a favorire lo sviluppo del Paese nell’ottica di una satisfattiva politica di partenariato Stato-Enti territoriali nello specifico, per il demanio marittimo, non ha attecchito.Resta nell’attualità un insieme di centri decisionali i quali, alcuni più “a fuoco” altri meno, partecipano delle vicende e delle sorti delle concessioni in assenza di un quadro delle effettive competenze che prima di ogni altro ambito dovrebbe essere rivisto e meglio puntualizzato dal legislatore.
Ciò gioverebbe a tuti gli attori coinvolti nel sistema concessioni, a partire dagli stessi operatori economici, sia gli attuali che i futuri che si aggiudicheranno le “gare”, e non meno agli operatori tecnici, ai professionisti, alle Amministrazioni medesime, perché inizio e fine ultimo del percorso sarebbe la “certezza del diritto” non come vuoto principio dottrinario ma come sacrosanto bene della vita, quel bene che oggi, fortunatamente, trova sede nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nelle sentenze delle Corti interne, in alcune discipline e contributi illuminati.
Da quel “bene” occorre partire, e a quel “bene” va fatto ritorno, costruendo nel mezzo, anche nel settore delle concessioni costiere, una riforma all’altezza della valenza e strategicità del tema per tutto il sistema Italia.
avv. Morena Luchetti