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Bari, frode sulle mascherine durante il lockdown: chieste cinque condanne fino a due anni

Pene comprese tra un anno e sei mesi e due anni di reclusione: sono le condanne chieste dalla Procura di Bari per cinque imprenditori accusati di aver speculato sull'emergenza Covid stipulando con le Asl pugliesi, durante il lockdown del marzo 2020, contratti per forniture di centinaia di migliaia di mascherine Ffp2 e Ffp3 con rincari…

Pene comprese tra un anno e sei mesi e due anni di reclusione: sono le condanne chieste dalla Procura di Bari per cinque imprenditori accusati di aver speculato sull’emergenza Covid stipulando con le Asl pugliesi, durante il lockdown del marzo 2020, contratti per forniture di centinaia di migliaia di mascherine Ffp2 e Ffp3 con rincari dal 41 al 4100%.

Le pene più alte sono state chieste per Romario Matteo Fumagalli (legale rappresentante della Sterimed, con sede legale nel comune leccese di Surbo) e per Massimiliano Aniello De Marco, legale rappresentante della Servizi ospedalieri di Ferrara. A loro sono contestati i reati di manovre speculative su merci, tentata truffa aggravata e frode in pubbliche forniture: la Procura ha chiesto nei loro confronti anche il pagamento di una multa da 500 euro.

Per i fratelli Gaetano e Vito Davide Canosino (della 3MC spa e Penta srl di Bari) ed Elio Rubino (della Aesse Hospital di Bari), a processo per manovre speculative su merci, è stata chiesta la condanna a un anno e sei mesi di reclusione e il pagamento di una multa da 300 euro.

Stando alle indagini della Guardia di finanza, sarebbero stati applicati sovrapprezzi via via crescenti nel corso dei diversi passaggi della filiera commerciale, arrivando a vendere mascherine del valore di poche decine di centesimi fino a oltre 20 euro ciascuna.

Nel corso della requisitoria, il procuratore Roberto Rossi ha sottolineato come quelle mascherine fossero «necessarie per la vita delle persone» e di come l’operazione di «vendita allo scoperto nuda» di Sterimed e Servizi ospedalieri, che non avrebbero avuto le mascherine promesse al momento della stipula del contratto, fosse una «operazione speculativa ai massimi livelli», in quanto gli imputati «avevano l’obbligo di dire di non avere» le mascherine oggetto del contratto.

«Questa operazione speculativa – ha aggiunto – è stata fatta violando le regole di buona fede contrattuale, e la truffa contrattuale si configura quando il bene» per cui si è firmato un contratto «non c’è».

«Ricordiamo tutti come, all’epoca, gli uffici pubblici fossero alla disperata ricerca di mascherine, in un mercato in cui già c’era una estrema difficoltà di reperirle», ha detto ancora.

Il difensore di Fumagalli, l’avvocato Ennio Amodio, ha chiesto l’assoluzione del suo assistito perché il fatto non sussiste. Nel corso delle prossime udienze proseguirà la discussione dei difensori degli altri imputati.

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