«Un solo grammo di hashish e mi ritrovo in questo macello». Michele ha 29 anni, una famiglia e un lavoro. Per tutto il mese di febbraio resterà senza patente e senza carta d’identità o passaporto, sospesi dalla Prefettura di Bari. La notifica dell’atto, nei giorni scorsi, lo ha sorpreso: «Sono passati tre anni da quella perquisizione in auto, non potevo immaginare di trovarmi nei guai: a fine mese ho una trasferta per lavoro e non so quale documento dare in albergo».
La sua storia è la traccia di una corretta applicazione dell’articolo 75 del Testo unico sugli stupefacenti, che prevede, in caso si venga trovati in possesso di droga in modiche quantità, la sospensione per un periodo variabile dei documenti. Ma che per lui è l’inizio di un assurdo.
E comincia a giugno del 2019, quando viene fermato per un controllo al quartiere San Paolo, a bordo della sua auto. «Mi fermarono, avevano i cani, volevano perquisire la macchina – ricorda – allora io dissi che avevo addosso quel pezzetto di hashish.
Mi portarono in caserma, mi schedarono, mi fecero le foto e poi mi lasciarono andare». Come dispone la norma, nel 2020 fu convocato dalla Prefettura per essere ascoltato, ma il lockdown e l’impossibilità di accedere agli uffici fecero slittare l’incontro. «Mi hanno richiamato nel 2021, ho fatto il colloquio e poi mi hanno mandato al Sert (il Servizio per le tossicodipendenze), ma non ci sono andato, a che mi serve lo psicologo?».
Nei giorni scorsi, la notifica: «Sono andati i carabinieri a casa mia, quando io non c’ero – spiega – e hanno lasciato l’atto». Nel documento si tiene conto del fatto che il giovane “non ha accolto l’invito a seguire un programma”, e si applica la sospensione della patente di guida, del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori, passaporto, carta d’identità e porto d’armi, per la durata di un mese.
«Non posso nemmeno fare ricorso – si sfoga Michele – perché il mio avvocato mi ha spiegato che i tempi per l’udienza al tribunale sono più lunghi di un mese e avrei dovuto anche pagare 280 euro di contributo unificato. Abbiamo deciso che non ne vale la pena». Il problema è però la difficoltà di continuare a lavorare: «Io sono un operaio e la ditta per cui sono impiegato copre tutta la Puglia e anche altre regioni. Innanzitutto non so come muovermi, ma anche ammettendo che mi faccia accompagnare o prenda un mezzo pubblico, tutto si complica. Il 21 febbraio ho una trasferta per lavoro, ma io in albergo come mi regolo? Non ho documenti da dare alla reception, dove vado a dormire?».
Poco da fare, la legge va applicata e anche i diritti del singolo vanno subordinati alla logica di tutela della collettività, per la quale la norma è stata concepita.