Claudio Velardi, direttore de Il Riformista e tra i massimi esperti di comunicazione politica in Italia, contesta con vigore la scelta del sindaco di Bari, Vito Leccese, di escludere Israele dalla prossima Fiera del Levante, prevista tra poche settimane: «È una notizia che non c’è. Perché Israele non ha mai partecipato alla kermesse di settembre nel capoluogo pugliese. Mi risulta una sola presenza due anni fa, quando intervenne al Water innovation summit, conferenza sulle tecnologie idriche innovative, portando la sua esperienza di leader mondiale in un settore cruciale come l’acqua, spiegando, anche agli amministratori baresi, come Israele ha perdite idriche del 7 per cento contro il 42 di Bari, oltre a tutte le azioni che quel Paese mette in campo per gestire una risorsa importante come l’acqua».
La posizione
Sempre secondo Velardi, «dovrebbero essere gli operatori economici della città e della Regione a dire la loro su questa decisione. Quale è la convenienza per una terra di mercato come la Puglia? Mi pare che una delle prime conseguenze sia la disdetta di molti turisti israeliani pronti a passare le vacanze in Puglia». Bari, annota ancora il giornalista, «è sempre stata di grandi aperture, guardando al mare e ai mercati del Mediterraneo, che è la vera vocazione della Fiera del Levante. Oggi, invece, si chiude senza che si capisca con quale convenienza, visto che la decisione del sindaco, ma anche in precedenza del presidente della Regione, Michele Emiliano, di interrompere i rapporti con Israele, non ha ricadute sul governo di Benjamin Netanyahu. A mio avviso, serve solo ad affermare una presa di posizione su dei fatti che non sono nella realtà come vengono narrati», facendo riferimento a quel che accade a Gaza dove in molti parlano di genocidio del popolo palestinese da parte dell’esercito israeliano.
Un fronte comune
Velardi, tuttavia, non si limita solo a rilevare che la decisione del primo cittadino può provocare danni economici al tessuto produttivo pugliese: «Anche il mondo della cultura barese dovrebbe sollevarsi, visto che con questa imposizione ci si chiude. L’esatto contrario di quel che dovrebbe fare un operatore culturale e cioè aprirsi al dialogo. Invece, così facendo si lavora per isolare alcuni soggetti in campo a favore, insisto, di una narrazione che non è proprio come la si vuole presentare. Mentre, appunto, ci si dovrebbe impegnare per aprire il più possibile il confronto». Mi sembra, conclude Velardi, che questa decisione «identifichi una realtà stanca, seduta su sé stessa, con una politica che fa solo teatro, a beneficio di un’opinione pubblica cinica e credulona. Mentre Israele non penso si stia stracciando le vesti per il mancato invito a una fiera di Paese».