Aiuti all’ex Ilva. Genitori Tarantini: «1 mld a produzione fallimentare»

«Arriva, quindi, un aiutino niente male: un miliardo di euro che, con tutta probabilità, sarebbe stato meglio veicolare verso altre destinazioni, verso altre vere urgenze. Un miliardo di monetine da un euro dirottate verso una produzione fallimentare che ancora ci si ostina a definire strategica per la nazione». Lo sottolinea l’associazione Genitori Tarantini in merito alla norma del Dl Aiuti bis che autorizza Invitalia a sottoscrivere aumenti di capitale o diversi strumenti fino a un miliardo di euro per far fronte alla crisi di liquidità dell’ex Ilva.

«E così, prima del Requiem, prima – osserva il movimento di genitori – della definitiva sepoltura, questo governo ha deciso di dare ulteriore ossigeno alla “morta per eccellenza”, l’ex Ilva di Taranto, chiamata, giusto prima del De profundis, Acciaierie d’Italia». Non c’è «dubbio alcuno – attaccano gli attivisti – sulle intenzioni di Governo, azienda e sindacati: l’area a caldo continuerà a funzionare, con l’aspettativa di raggiungere il massimo della produzione entro i prossimi due anni, così da poter dare lavoro a Genova e Novi Ligure». L’associazione rammenta il rapporto della Commissione Salute dell’Organizzazione delle nazioni Unite che include Taranto tra le «zone di sacrificio» e le «cinque condanne comminate dalla Corte europea per i diritti umani a carico dello Stato italiano, colpevole di non aver tutelato la salute dei tarantini».

Francesco Rizzo, coordinatore dell’Usb di Taranto sottolinea come «un miliardo di euro, risorse pubbliche, si aggiunge alle già consistenti somme investite nello stabilimento per sostenere il privato alle prese con problemi di liquidità. Intanto neanche un euro viene stanziato per i lavoratori diretti, dell’appalto e per i cassintegrati ex Ilva in Amministrazione Straordinaria».

Rizzo, in merito alla vertenza ex Ilva, auspica che parte del finanziamento previsto dal Dl Aiuti bis «serva per sostenere l’appalto dell’acciaieria, in grandissima crisi economica, dove l’effetto a catena è inevitabile. Acciaierie d’Italia – aggiunge – non paga le aziende e le aziende non pagano i dipendenti, facendo precipitare i lavoratori e le loro famiglie in una situazione di pesante difficoltà». A fronte «di miliardi di euro – osserva Rizzo – buttati in una fabbrica che da dieci anni continua a perdere produzione e occupati, facendo crescere il numero delle unità in cassa integrazione, l’unica cosa seria da fare è aprire un tavolo di discussione per mettere in campo misure atte a risolvere il danno che tutti i lavoratori (dipendenti diretti, dell’appalto ed ex Ilva in As) stanno subendo. Una questione di tale straordinarietà non può che trovare soluzioni altrettanto straordinarie».

Il sindacalista rivolge «un invito a Regione e Comune affinché si apra un tavolo di confronto, come ha mostrato di voler fare il presidente Emiliano, ma che permetta di affrontare, oltre al tema della decarbonizzazione, proprio le questioni di diretto interesse dei lavoratori».

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