Venezia 2022, Hugh Jackman nel nome del figlio

(Adnkronos) – (Adnkronos/Cinematografo.it) – “In The Father la scena era la storia, per portare lo spettatore in un luogo specifico, il cervello del personaggio, era un’esperienza molto soggettiva. Qui è molto più lineare la questione, diretta, bisognava andare dritti sull’argomento, affrontarlo, raccontare la storia dai vari punti di vista, quello del padre, della madre, delle persone che circondano questo adolescente: cercare di entrare nella sua testa ma rendersi conto che è impossibile farlo”. Dopo l’acclamato ‘The Father’, Florian Zeller esordisce in concorso a Venezia con ‘The Son’, altro film tratto da una sua pièce teatrale, dramma che segue una famiglia in lotta per tornare unita dopo essersi sfasciata. 

‘The Son’ è incentrato su Peter (Hugh Jackman), la cui vita frenetica con il figlio appena nato e la nuova compagna Beth (Vanessa Kirby) viene sconvolta quando l’ex moglie Kate (Laura Dern) ricompare con il figlio Nicholas (Zen McGrath), ormai adolescente. 

Il giovane manca da scuola da mesi ed è tormentato, distante e arrabbiato. Peter si sforza di prendersi cura di Nicholas come avrebbe voluto che suo padre (Anthony Hopkins) si fosse preso cura di lui, mentre si destreggia tra il lavoro, il nuovo figlio avuto da Beth e l’offerta della posizione dei suoi sogni a Washington. Tuttavia, cercando di rimediare agli errori del passato, perde di vista il modo in cui tenersi stretto Nicholas nel presente. 

“Dopo aver visto The Father e letto lo script di The Son ho voluto fortemente questo ruolo, ho avuto una sensazione di fuoco leggendo il copione e al contempo la sensazione che questa parte fosse giusta per me in questo momento della mia vita”, racconta Hugh Jackman, al quale è bastato poco per convincere il regista. 

“Sono rimasto molto toccato dall’umiltà e dall’onestà di Hugh: ci siamo incontrati su Zoom e dopo otto minuti gli ho offerto la parte perché ho avuto sensazione che avesse un collegamento molto forte con la storia, che volesse esplorare il ruolo in profondità. Da quel momento in poi è stata un’esperienza molto intensa”, svela Zeller, che sulla genesi del film aggiunge: “Volevo realizzarlo da diversi anni. Ero così determinato a raccontare questa storia che non avrei potuto raccontarne nessun’altra, né da un diverso punto di vista. È in parte ispirato a emozioni che conosco personalmente. Volevo condividerle con il pubblico perché so che molte persone si confrontano con i disturbi mentali e che la vergogna e lo stigma associati a questi problemi possono ostacolare conversazioni necessarie e talvolta vitali”. 

Una cosa di cui bisogna parlare, aggiunge Hugh Jackman, che spiega: “L’amore non è sempre sufficiente per salvare qualcuno. Tutte i personaggi di questo film amano tantissimo ma si sentono incapaci, ma rendersene conto è importante perché è un cammino che porta alla vulnerabilità, alla possibilità di capire la posizione degli altri. Come genitori ci hanno sempre insegnato ad essere forti, indipendenti, in grado di affrontare qualsiasi cosa che riguardi i nostri film e invece io ho imparato a condividere le mie vulnerabilità con i miei ragazzi, di 17 e 22 anni”. 

Acquistato per l’Italia da 01 distribution, che lo porterà prossimamente nelle sale italiane, The Son “rappresenta quello che cerco sempre di trovare nel cinema”, dice Vanessa Kirby, che spiega: “Il cinema migliore è quello che ci propone domande che raramente trovano risposta, i film di Florian Zeller tentano di esplorare i meandri di questioni che a volte crediamo siano solamente le nostre e invece ci rendiamo conto che sono domande che ci uniscono”. 

Perché Nicholas sta così male? Che cosa ha scatenato questo male di vivere? Il divorzio dei genitori, avvenuto un paio di anni prima, potrebbe essere il motivo? “Il figlio parla del divorzio, vuole dare la colpa a qualcuno, cosa abbastanza comune quando si parla di salute mentale. Non volevo spiegare l’origine di tutto questo, perché non è detto che ci sia un’origine specifica, catturare quel mistero era la sfida del film”, dice ancora il regista, ringraziato da Laura Dern “per il modo in cui questa storia è stata realizzata. Siamo usciti dalla pandemia, sappiamo che ha scatenato delle crisi relative alla salute mentale, una delle parti più importanti del viaggio riguarda il fatto che quando ci sentiamo soli, impotenti, possiamo rivolgerci a persone che hanno già dovuto affrontare queste cose”. 

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