Terremoto L’Aquila, stesso crollo sentenza diversa: stavolta non c’è colpa vittime

(Adnkronos) – Stessa situazione, stessa palazzina crollata nel terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila, stesso fascicolo e processo. Ma per alcune delle vittime c’è il 30% di corresponsabilità nella propria morte, perché non uscirono di casa alle 3.32 di quella terribile notte e rimasero a dormire; e per altre invece non è stata rilevata alcuna responsabilità. A tornare a far parlare della sentenza del giudice dell’Aquila Monica Croci, che l’ottobre scorso, in un procedimento civile, concesse il risarcimento parziale ai familiari di tre giovani vittime – Ilaria Rambaldi, Paolo Verzilli e Alberto Guercioni – perché una porzione della colpa, per quanto accaduto, secondo lei, è da attribuire alle stesse vittime, è una nuova sentenza. I fatti riguardano il crollo del palazzo di Via Campo di Fossa. Costruzione di sei piani sotto cui persero la vita in 29.  

Ad ottobre la sentenza che indignò l’Italia stabiliva che il 30 per cento di colpa era delle stesse vittime. Ma da quel procedimento era stata stralciata la posizione di due studentesse Giusy e Genny Antonini, perché i fascicoli di richiesta risarcimento andati perduti. A seguire i fascicoli, ricostruiti, sono stati assegnati ad un altro giudice, Baldovino De Sensi che ha ora rigettato “l’eccezione sulla sussistenza, nella verificazione del danno, di un concorso colposo delle vittime” perché “la stessa è infondata in quanto non solo è rimasta sfornita di prova ma, nel corso del giudizio, sono emersi elementi di segno contrario”.  

Il giudice dice che il crollo “è imputabile sia all’inosservanza della normativa antisismica dell’epoca”, essendovi “una marcata sottostima delle azioni sismiche”, sia alla “negligenza del Genio civile che ha certificato la conformità del progetto”, Genio civile che faceva capo al ministero dei Lavori Pubblici. Esclusa la responsabilità del Comune dell’Aquila.  

Esclusa la responsabilità delle vittime e il giudice spiega il perché: “… Dagli atti risulta che il territorio aquilano è stato interessato da uno sciame sismico a partire dal dicembre 2008 e che, fino al 6 aprile 2009, si verificarono scosse con cadenza quasi quotidiana e che l’edificio nel quale alloggiavano i congiunti degli attori fosse in cemento armato e non avesse subito alcun danno visibile prima del crollo. Ulteriormente, non è stata data prova, né ciò emerge dalla consulenza tecnica espletata nel giudizio penale, che il verificarsi di forti scosse sismiche (come quelle che si erano verificate prima di quella letale) avrebbe potuto aumentare il rischio di ulteriori e più intense scosse. Tali circostanze, unitamente analizzate, determinano che, ad una valutazione ex post, non potesse esigersi dalle vittime un comportamento diverso da quello posto in essere. In altri termini, la scelta di rimanere in casa nonostante l’intensificarsi dello sciame sismico in atto, valutate tutte le circostanze richiamate, non può essere considerata imprudente o poco diligente, stante l’assoluta imprevedibilità del verificarsi di scosse”.  

Nella stessa causa, quindi, a tre delle vittime viene riconosciuta parte della colpa, a due no. “Una macroscopica disfunzione giudiziaria italiana – tuona l’avvocato Maria Grazia Piccinini, mamma di Ilaria Rambaldi -; una disparità che fa rabbia e pena”.  

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