Terapie intensive pediatriche in Italia: “Poche e mal distribuite”. Ecco la mappa

(Adnkronos) – Allarme terapie intensive pediatriche in Italia. I posti letto sono solo 273, a fronte di 9.788.622 potenziali pazienti da 1 a 18 anni. In pratica, nel nostro Paese c’è un posto letto di terapia intensiva per 35.586 bambini e adolescenti, lontano dall’indicazione europea di un posto letto ogni 20-30mila piccoli. La Germania, per esempio, ne ha uno ogni 20mila. Secondo gli standard raccomandati, in Italia dovrebbero essercene 482. Mancano all’appello circa 200 posti letto in intensiva, con una carenza del 44,4%. Non solo. Sedici Regioni hanno meno del 25% dei posti necessari, sei non hanno nemmeno una terapia intensiva pediatrica, con il caso eclatante della Sardegna. 

 

A censire le rianimazioni per i pazienti da 1 a 18 anni in Italia è un gruppo di esperti, che ha pubblicato una lettera-denuncia sulla rivista ‘Lancet’ per richiamare l’attenzione sulla “preoccupante situazione delle terapie intensive pediatriche nel nostro Paese”, afferma all’Adnkronos Salute Leonardo Bussolin, presidente della Società di anestesia e rianimazione neonatale e pediatrica italiana e uno degli autori dello studio. “I posti letto di terapia intensiva pediatrica in Italia sono pochi e mal distribuiti, la differenza tra le varie zone d’Italia è intollerabile”. 

Nella cartina geografica delle intensive per bimbi e adolescenti, si va dai 128 posti letto al Nord, a fronte di un fabbisogno di 222, ai 55 del Sud, dove ne servirebbero 168, e ai 90 del Centro, sotto solo di 2 posti letto. Ad alzare la media in Centro Italia sono le 3 terapie intensive pediatriche del Lazio: Gemelli, Bambino Gesù e Umberto I. Per contro, in Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna non c’è nemmeno un posto letto e se un piccolo paziente arriva in ospedale in condizioni particolarmente critiche, deve essere immediatamente trasferito in un’altra regione. Una disperata corsa contro il tempo. Fino a un mese fa in questa condizione, con uno 0 sulla cartina, c’era anche l’Abruzzo, dove la prima terapia intensiva pediatrica è stata inaugurata ai primi di ottobre, a Pescara. Questa la situazione nelle altre regioni: 15 posti letto in Piemonte, 22 in Liguria, 46 in Lombardia, 15 in Emilia Romagna, 24 in Veneto, 6 in Friuli Venezia Giulia, 22 in Toscana, 10 nelle Marche, 58 nel Lazio, 21 in Campania, 4 Puglia, 6 in Calabria, 24 in Sicilia. 

“La situazione è veramente critica, al Sud è drammatica. Ci sono delle zone dell’Italia in cui i bambini non hanno le stesse probabilità di essere curati nella stessa maniera rispetto ad altre zone – sottolinea Bussolin – E questo, da un punto di vista etico, è riprovevole. Inaccettabile. Come società scientifica, abbiamo il dovere di sensibilizzare. Il nostro obiettivo con questo lavoro non è tanto denunciare, quanto sensibilizzare la politica. Ci vogliono risposte e programmazione”. 

Dalla mappa delle terapie intensive pediatriche balza agli occhi che “se alcune Regioni sono messe meglio di altre, nessuna è a norma”, prosegue Bussolin. A preoccupare particolarmente gli esperti è la totale mancanza di posti letto di rianimazione in Sardegna, “nonostante il suo isolamento geografico dal resto della Penisola – sottolineano su Lancet – e le difficoltà a trasferire un paziente grave in un’intensiva sulla terraferma”. “Di solito i bambini che necessitano di trattamenti intensivi salva-vita vengono trasferiti in elicottero – spiega Bussolin – all’ospedale Gaslini di Genova, qualche volta al policlinico Gemelli di Roma. Ma è evidente che non è una procedura così banale, dipende anche dalle condizioni meteorologiche e richiede un grande impegno, perché trasferire un paziente critico in elicottero vuol dire che a bordo ci devono essere delle professionalità superlative per garantirne la massima sicurezza. La Sardegna deve avere una sua terapia intensiva pediatrica, i colleghi fanno i salti mortali ma se mancano le strutture e l’organizzazione, diventano pseudo-eroi e abbiamo visto con il Covid che fine fanno gli eroi”, chiosa. 

“Le terapie intensive, sia per gli adulti che per i piccoli pazienti, non devono mai essere sovraffollate – rileva Bussolin – come segnaliamo su Lancet. L’occupazione non dovrebbe superare l’85% dei posti letto, proprio per avere anche un serbatoio di riserva per qualsiasi situazione fuori dal normale. Capisco che è difficile per gli amministratori accettare un concetto come questo, perché la terapia intensiva, come la medicina d’emergenza, come il pronto soccorso, sono tutti settori in perdita. Capisco che è difficile per chi deve far quadrare i conti, ma questo è, non si può fare altrimenti. E’ come un serbatoio, che è espandibile e comprimibile, in funzione delle necessità del momento. Questo lo si può fare con un’organizzazione adeguata e risorse economiche adeguate”. 

Verrebbe da dire che il Covid non ci ha insegnato niente. “Dopo quello che abbiamo vissuto, questa è una ferita aperta – commenta – Non solo. L’anno scorso abbiamo avuto una pandemia di virus respiratorio sinciziale, praticamente la bronchiolite, che colpisce i bambini entro i 2 anni d’età. Noi al Meyer non sapevamo dove ricoverarli, da quanto eravamo stracolmi, ma era così un po’ dappertutto. E’ stato il Covid dei più piccoli: come impatto e flusso di pazienti per gli ospedali è stato intenso. Addirittura so che al Bambino Gesù avevano adibito al ricovero alcuni ambulatori. L’anno scorso è stato eccezionale, ma nulla ci dice che non può ripresentarsi anche quest’anno un’epidemia di Rsv. E cosa faremo?”.Verrebbe da dire che il Covid non ci ha insegnato niente. “Dopo quello che abbiamo vissuto, questa è una ferita aperta – commenta – Non solo. L’anno scorso abbiamo avuto una pandemia di virus respiratorio sinciziale, praticamente la bronchiolite, che colpisce i bambini entro i 2 anni d’età. Noi al Meyer non sapevamo dove ricoverarli, da quanto eravamo stracolmi, ma era così un po’ dappertutto. E’ stato il Covid dei più piccoli: come impatto e flusso di pazienti per gli ospedali è stato intenso. Addirittura so che al Bambino Gesù avevano adibito al ricovero alcuni ambulatori. L’anno scorso è stato eccezionale, ma nulla ci dice che non può ripresentarsi anche quest’anno un’epidemia di Rsv. E cosa faremo?”.
 

Per migliorare la situazione, “l’adeguamento dei posti letto di terapia intensiva pediatrica è un primo passo, preceduto dalla formazione degli anestesisti-rianimatori, soprattutto nelle Regioni che ne sono sprovviste. Ogni Regione deve poi avere una rete che coordini, con criteri centralizzati, il trattamento e il trasferimento dei pazienti pediatrici in condizioni critiche, con centri con competenze e compiti ben precisi, su modello ‘Hub & Spock’ per esempio. E serve una rete nazionale con 3-4 centri d’eccellenza che coordinino emergenze particolari, i casi più rari. Un centro super specializzato cardiochirurgico o neurochirurgico pediatrico forse non è necessario in tutte le Regioni, perché sarebbe uno spreco, ma una rete nazionale sì. Al momento, purtroppo, il sistema non è così perfezionato”.  

La lettera su Lancet è firmata anche da Carmelo Minardi, del Dipartimento di Anestesia dell’azienda ospedaliero universitaria Policlinico San Marco di Catania; Giorgio Conti, del Policlinico universitario Irccs Gemelli di Roma; Andrea Moscatelli, dell’Unità di terapia intensiva pediatrica e neonatale dell’Irccs Gaslini di Genova; Simonetta Tesoro, dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia e past-president della Società di anestesia e rianimazione neonatale e pediatrica italiana, di cui Andrea Moscatelli è presidente designato da gennaio 2024. Il loro appello è “fare in modo che ogni bambino con un grave problema medico possa beneficiare di cure della massima qualità, indipendentemente dall’area geografica in cui vive”. 

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