(Adnkronos) – “Voglio cogliere l’occasione della mia prima visita” in Russia “dall’inizio dell’operazione speciale in Ucraina per ribadire la posizione siriana a sostegno di questa operazione contro i vecchi e nuovi nazisti”. Si è espresso così il leader siriano Bashar al Assad, confermando il suo sostegno al presidente russo Vladimir Putin. “Parlo di vecchi e nuovi nazisti perché l’Occidente ha accettato i vecchi nazisti sulla sua terra e ora li sostiene di nuovo”, ha detto Assad, secondo le dichiarazioni riportate dall’agenzia Tass.
Il sostegno di Damasco a Mosca non è solo per l'”amicizia” tra i due Paesi, ma per una necessità urgente di “stabilizzazione” a livello mondiale. “Altrimenti – ha affermato – il mondo sarebbe sul punto del collasso”.
Nel giorno del 12esimo anniversario, il presidente siriano – a sette anni dalla sua ultima visita – è volato a Mosca per incontrare faccia a faccia Putin, l’uomo – insieme ai vertici iraniani – a cui deve la sua sopravvivenza, forse non solo politica. Dodici anni ancora non sono bastati per mettersi definitivamente alle spalle una guerra che rimarrà per sempre una ferita aperta per la Siria. Macerie, milioni di profughi e di sfollati interni, centinaia di migliaia di morti, mentre l’Unicef conta 13mila bambini uccisi o feriti, sono l’eredità di un conflitto ritenuto ‘congelato’ ormai da molti osservatori malgrado ci siano ancora sporadici combattimenti, specie nel nord-est.
Il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno della fine dell’isolamento siriano sulla scena internazionale. Trattato per anni come un ‘paria’, dopo il devastante terremoto che ha colpito il nord-ovest della Siria – l’unica zona per altro non in mano al regime alawita – Assad ha riallacciato i rapporti con alcuni dei leader arabi che per anni gli avevano voltato le spalle. Come il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, mentre altri Paesi – vedi gli Emirati – hanno annunciato l’invio di aiuti. E c’è anche l’ipotesi di un rientro di Damasco nella Lega Araba. Una strada che appare ormai tracciata come dimostra anche l’arrivo a inizio mese nella capitale siriana di una delegazione dell’Unione interparlamentare araba con rappresentanti di Egitto, Giordania, Iraq, Libano, Libia, Oman ed Emirati.
La missione di Assad a Mosca ha un duplice valore: da un lato rinsaldare l’alleanza con l’amico Putin, dall’altro affrontare con il capo del Cremlino la questione dei rapporti con la Turchia, come confermato dal portavoce Dmitry Peskov. Da mesi, infatti, si rincorrono voci di un possibile incontro tra Assad ed Erdogan, con la Turchia che per anni a Damasco è stata considerata tra i principali nemici della regione, ma con la quale adesso potrebbe esserci una convergenza di obiettivi, vedi la questione curda nel nord.
Quella che è stata una delle guerre più drammatiche del 21esimo secolo era iniziata come una rivolta contro il regime di Assad sulla scia degli eventi della cosiddetta Primavera Araba, che nel 2011 rovesciò gli equilibri della regione. Il 15 marzo 2011 gravi disordini scoppiarono per le strade di Daraa, Damasco e Aleppo, con i manifestanti che chiedevano riforme democratiche e il rilascio dei prigionieri politici. Le proteste erano state innescate dall’arresto e dalla tortura di un gruppo di adolescenti pochi giorni prima nella città di Daraa per dei graffiti contro Assad.
La rivolta antigovernativa assunse presto una natura rivoluzionaria con la richiesta della fine del regime, ma la violenta repressione ordinata da Assad trasformò l’insurrezione in una guerra civile. Nel luglio del 2011, disertori dell’esercito annunciarono la creazione dell’Esercito siriano libero (Esl), un gruppo ribelle che mirava a rovesciare il governo.
Le proteste continuarono nel 2012 e nel 2013 emersero vari gruppi ribelli e jihadisti in tutto il Paese, come il sedicente Stato islamico (Isis) nel nord e nell’est, trasformando quella che era iniziata come una guerra civile in una guerra per procura in cui latente e non dichiarato c’era un coinvolgimento di molti attori regionali.
Diversi osservatori ritengono che Assad e l’Iran siano riusciti a raggiungere i loro obiettivi. Il presidente siriano è riuscito a riprendere il controllo su gran parte del territorio. L’Esl, appoggiato dalla Turchia e diversi Paesi del Golfo, dopo la battaglia di Aleppo del 2016 è stato relegato in alcune località della provincia di Idlib. Qui è molto più radicato Hayat Tahrir al-Sham, gruppo islamista precedentemente conosciuto come Jabhat Fatah al-Sham e Jabhat al-Nusra e che agli inizi era un’organizzazione affiliata ad al-Qaeda che faceva parte della assai varia opposizione armata ad Assad.
Mentre Hezbollah sembra aver esaurito il suo compito di sostegno al regime e fatto ritorno in Libano, nel nord troviamo alcune città come Raqqa, Qamishli e Hasakah in mano alle Forze democratiche siriane (Fds), un’alleanza creata nel 2015 con protagoniste le forze curde delle Unità di protezione popolare (Ypg) e che vede al suo interno anche milizie arabe. Quest’alleanza è fortemente osteggiata dalla Turchia, che considera le Ypg alla stregua del Pkk e quindi un’organizzazione terroristica. Sopravvive invece in alcune sacche l’Isis, l’organizzazione che dal 2104 fece tremare il mondo con il suo autoproclamato califfato, arrivando a conquistare ampie zone della Siria e dell’Iraq.
Oggi la Siria è un Paese devastato anche economicamente. Il World Food Programme stima che il 90% della popolazione viva al di sotto della soglia di povertà. Prima del terremoto, le Nazioni Unite avevano riferito che 14,6 milioni di siriani avevano bisogno di assistenza umanitaria, con 6,9 milioni di sfollati interni e oltre 5,4 milioni di rifugiati all’estero.