Salario minimo, perché sì e perché no

(Adnkronos) – Ora che il salario minimo è una misura sorretta da una direttiva europea
, il dibattito si sposta esclusivamente sul piano nazionale. E le posizioni restano distanti, per ragioni tecniche e per ragioni ideologiche. A dividersi non sono solo le forze politiche, nella maggioranza ampia che sostiene il governo Draghi con la sola opposizione formale di FdI, ma anche le parti sociali. E’ utile quindi andare a vedere perché si dice sì e perché si dice no al salario minimo.  

Sì, perché farebbe salire i salari più bassi. E’ l’obiettivo della direttiva Ue e anche la ricaduta che auspica il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che suggerisce la strada che consente di “rinnovare i contratti e di incidere sui livelli più bassi degli stipendi: in questo senso abbiamo avanzato una proposta per la quale il trattamento economico complessivo, contenuto nei contratti maggiormente e comparativamente più rappresentativi, possa diventare il salario minimo di riferimento per tutti i lavoratori di quel comparto”. 

Sì, perché colma un ritardo storico. E’ la posizione del Movimento Cinquestelle. “La direttiva europea sul salario minimo rappresenta una rivoluzione per tutti quei Paesi che ancora oggi, assurdamente, non lo hanno ancora introdotto nei loro ordinamenti. Tra questi Paesi c’è purtroppo anche l’Italia; il MoVimento 5 Stelle lo chiede ormai da 9 anni, un appello che è rimasto inascoltato da quasi tutte le altre forze politiche, che nel corso di questi anni hanno ostacolato questa fondamentale riforma di civiltà”, ha scritto sui social il ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Stefano Patuanelli.
 

Sì, perché l’Europa va ascoltata. E’ il segretario della Cgil, Maurizio Landini, a usare questa leva. “Non dobbiamo ascoltare l’Europa solo quando ci dice di tagliare le pensioni o cancellare l’articolo 18 o tagliare la spesa sociale. Se finalmente tutta l’Europa si rende conto che salari bassi e lavoratori precari senza diritti mettono in discussione la tenuta sociale, bisogna ascoltarla”.
 

Sì, perché è un atto di civiltà. “Credo che sia un atto di civiltà. Non è possibile vedere persone che lavorano con una paga da fame. La Germania, ad esempio, ha appena alzato il salario minimo orario a 12 euro, la Francia ha fatto una cosa simile e noi non possiamo rimanere senza. Se non si ritiene che la legge vada bene, si può dare forza ai contratti conclusi dalle parti maggiormente rappresentative, affinché si applichino a tutti. Questa è la strada per noi migliore”, ha spiegato il presidente del Cnel, ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu.  

No, perché può smontare la contrattazione. E’ la posizione della Cisl. Il salario minimo non è utile e, anzi, può essere pericoloso, perché potrebbe smontare, diversamente da quanto chiede l’Europa, la contrattazione e con essa un modello di democrazia che ha garantito progresso e avanzamento sociale indiscutibili. “Prendiamo a riferimento il trattamento economico complessivo dei contratti sottoscritti dalle forze sociali più rappresentative, vediamo quali sono i contratti maggiormente applicati nei settori di riferimento e questo è per noi il salario di rifermento. Io sono più interessato a parlare di salario massimo che di salario minimo”, ha sintetizzato il segretario Luigi Sbarra. 

No, perché è contro la nostra storia. E’ la posizione, tradizionalmente liberista, di Forza Italia. L’ha espressa con chiarezza il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, aggiungendo l’altro tassello chiave: il salario non può e non deve essere moderato, ma “deve corrispondere alla produttività”.  

No, perché non è il nostro tema. E’ la posizione di Confindustria. “Il tema dei salari non è di nostra pertinenza, perché i nostri contratti sono tutti oltre i 9 euro l’ora, quindi non siamo né contrari e nemmeno a favore: il tema del salario minimo è come verrà costruito”, ha puntualizzato il presidente Carlo Bonomi. 

No, perché è un’arma di distrazione di massa. E’ la posizione di chi ritiene che le priorità siano altre. Su questo fronte sono più vicini Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Quella del salario minimo “mi pare la classica arma di distrazione di massa rispetto ai problemi del lavoro in Italia, perché il salario minimo riguarda una fetta di lavoratori già garantiti dal contratto nazionale di lavoro, dentro cui tendenzialmente c’è un salario minimo. Se si volessero alzare davvero i salari la soluzione migliore sarebbe quella di tagliare il cuneo, circoscrivendolo al lato lavoratore”; ha spiegato la leader di FdI. Anche il leader della Lega guarda da un’altra parte. “Se non ci sono le imprese non esistono i lavoratori. Le proposte della Lega ci sono, pace fiscale, rottamazione delle cartelle esattoriali, flat tax. Distribuire quello che non c’è è difficile”. 

 

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