(Adnkronos) – “Bisogna distinguere una contrarietà di merito ed una obiezione di ordine giuridico al presidenzialismo. Le obiezioni di merito ovviamente sono pienamente legittime, quelle di diritto mi sembrano nella maggior parte dei casi meno convincenti, soprattutto quelle di chi sostiene che l’Italia non sarebbe adatta ad un sistema che vige e fa funzionare bene altre democrazie come quella francese”. Giovanni Guzzetta, costituzionalista e ordinario di Diritto pubblico all’Università degli studi di Roma Tor Vergata, interviene con l’Adnkronos sulla necessità per l’Italia di una riforma presidenziale per garantire ai governi una maggiore stabilità ed aggiunge: “Questo atteggiamento di considerare l’Italia inadatta tradisce una profonda sfiducia nella nostra democrazia, un alibi paternalista che ha una lunga tradizione nelle classi dirigenti del nostro paese. La stabilità dei governi in Italia dipende dall’intervento che sarà fatto sulle norme che regolano ciò che accade dopo le elezioni”.
“Quando si affronta una riforma costituzionale bisogna partire dalla disanima dei problemi. Per l’Italia la diagnosi è che la nostra più grave malattia, con impatto devastante anche sulle riforme politiche economiche e sociali del Paese, è l’instabilità e l’ingovernabilità – rileva -Una grande democrazia non può funzionare avendo governi che durano mediamente un anno e un paio di mesi. Se guardiamo alla Francia, alla Germania, al Regno Unito e alla Spagna noi misuriamo le fasi politiche in relazione alla durata dei governi e dei Leader. Basti pensare a Mitterand, Macron, Thatcher, Blair, Kohl piuttosto che Merkel. La durata dei governi ha consentito a quei paesi di avere politiche coerenti e omogenee per il numero di anni necessari ad essere realizzate e ad aver un impatto significativo sulla storia del paese. In Italia tutto questo non si può dire”.
“Se questa è la diagnosi, e credo che nessuno possa contestarla, basti guardare all’ultima Legislatura con tre governi diversi e tre indirizzi politici diversi, l’intervento non può che essere a livello di organizzazione costituzionale”. Non sarebbe sufficiente una riforma della legge elettorale? “Chi ritiene sufficiente la riforma della legge elettorale, non coglie il fatto che l’instabilità si è rivelata indifferente a qualsiasi legge elettorale noi abbiamo avuto – risponde Guzzetta – Perché anche quando la legge elettorale assicura la formazione di una maggioranza, la nostra storia dimostra che quella maggioranza non riesce a durare perché si disgrega e si scatenano dinamiche parlamentari che la portano alla crisi. Transfughismo e ribaltoni sono ormai la normalità. Uno può sperare che da oggi non sia più cosi, ma è una speranza che non ha nessuna base storico empirica. Quindi è necessario intervenire sulle norme che regolano ciò che accade dopo le elezioni – rimarca – e non solo su ciò che accade prima delle elezioni e cioè sulla legge elettorale”.
Il semi-presidenzialismo alla francese, secondo Guzzetta, è una possibile modalità che “si è dimostrata vincente in un paese che per molti versi prima della riforma di De Gaulle aveva gli stessi problemi del nostro sistema politico, a cominciare dalla instabilità ed ingovernabilità”. L’Italia adesso vive l’esperienza dei governi regionali e locali che “non si può ovviamente sovrapporre meccanicamente a quella nazionale, ma certamente non può considerarsi una esperienza fallimentare e quindi rafforza le ragioni per imboccare la strada del presidenzialismo anche a livello nazionale”. In gioco non è però soltanto il merito delle scelte, quanto il metodo “perché l’altro dramma italiano è che anche se si riescono ad approvare le riforme costituzionali queste sono fallite perché il referendum confermativo è stato il teatro di uno scontro elettoralistico tra i partiti che molto spesso nulla aveva a che fare con il merito della riforma”.
“Per questo io insisto nel dire ormai da tempo – conclude – che data l’importanza di questa riforma si dovrebbe procedere con la saggezza con cui procedettero le forze politiche che fondarono la Repubblica, le quali di fronte a un tema particolarmente divisivo e controverso, come la scelta fra monarchia e repubblica, decisero di anticipare quella scelta prevedendo un referendum prima dell’elaborazione della Costituzione. Sciogliendo così un nodo che avrebbe creato enorme conflittualità tra i costituenti e indirizzandoli in una direzione prestabilita decisa dal popolo, cioè dal titolare della sovranità. Certo, considerando il tasso di analfabetismo degli elettori di allora, qualcuno avrebbe potuto dire, e in effetti ci fu chi lo disse, che i cittadini non erano abbastanza maturi. Ma fortunatamente De Gasperi non cedette all’alibi paternalista e volle il referendum, scommettendo sulla democrazia”. (di Roberta Lanzara)