“Per combattere i tumori la strada a oggi è l’approccio olistico”

(Adnkronos) – “Il mio? E’ un approccio ‘olistico’ contro il cancro”. Silvia Marsoni, classe 1952, è una scienziata Ifom impegnata in ambito oncologico con una professionalità molto particolare: la designer di studi clinici. Il suo lavoro consiste nel disegnare e coordinare gli studi clinici, focalizzati in particolare su tumore al colon retto e tumore al seno, individuando metodiche sperimentali innovative – un esempio ne è la medicina di precisione -, oltre a favorire la collaborazione tra clinici e ricercatori. Si tratta di studi che hanno conquistato considerevoli finanziamenti da parte di enti come Airc e la Comunità europea. 

“I tumori che ho scelto di studiare sono quello della mammella e quello del colon perché sono ad altissima incidenza” spiega Silvia Marsoni all’Adnkronos. “Il cancro sfrutta la biologia delle cellule piegandola e pervertendola ai propri fini, quindi, ha un’infinità di strumenti per trovare vie alternative di sopravvivenza quando con i farmaci gli blocchi una strada di crescita. Se cerco di fermare la circolazione di Milano, agendo su un solo semaforo, è ovvio che non ce la farò mai, bisogna individuare quelli più importanti e spegnerli contemporaneamente, però, per farlo devi capire quali sono e, quindi, è per questo che è fondamentale che la community scientifica sia fatta dai ricercatori di base. Allo stesso tempo è altrettanto importante che i clinici indichino al ricercatore di base quali sono le aree in cui non abbiamo farmaci o non capiamo che cosa stia succedendo. Sono loro, i clinici, che devono indicare quali siano i casi migliori da studiare, quelli con tumori che sviluppano metastasi con maggior frequenza di altri o quelli in cui la terapia antimetastatica non funziona a parità di tutte le caratteristiche conosciute. Perché è questo il nocciolo della questione: impedire la formazione delle metastasi o curarle quando non si riesce a impedirle. E’ di quello che si muore. Di metastasi resistenti alle terapie. Nessuno muore per un tumore primario che può essere asportato grazie a chirurgie sempre più efficienti e poco traumatiche”. 

Dopo il Classico e la laurea in Medicina alla Statale, con un periodo a Londra, Silvia ha costruito la sua carriera tra l’Italia, al Mario Negri di Milano, e negli States al National Cancer Institute di Bethesda, per poi tornare in Italia e portare in Ifom la sua esperienza, dopo aver lavorato, tra gli altri accanto a Silvio Garattini al Mario Negri, con Umberto Veronesi nel primo Progetto finalizzato sul cancro del Cnr e con Paolo Comoglio all’Istituto di Candiolo. “Sono tornata tanti anni fa dagli Stati Uniti, dove sono stata per 7 anni. Ero molto in dubbio se tornare e, poi, con un po’ di spirito patriottico ho pensato che quello che avevo imparato lì avrebbe potuto essere utile anche qui e, quindi, sono rientrata in Italia al Mario Negri nel 1985. Negli States ero diventata responsabile di un settore relativo allo sviluppo di nuovi farmaci a un’età incredibile per l’Italia. Da noi a quell’età lì non hai nessuna possibilità, mentre in Usa c’è questa mentalità di dire ‘ti metto alla prova e, se sei bravo, ti affido quei compiti'”. Ha dovuto aspettare 15 anni per rioccuparsi dello sviluppo di nuovi farmaci, ma alla fine degli anni Novanta è diventata direttrice scientifica del Sendo, una fondazione in cui collaboravano strettamente Mario Negri, Istituto europeo di oncologia Ieo e lo Iosi (Istituto oncologica della Svizzera italiana), che per la prima volta in Italia si è occupata della ricerca indipendente in campo farmaceutico. “Adesso che sono io – diciamo così – la decana – chiosa Marsoni – gran parte del tempo è dedicato alle nuove leve perché credo che i giovani debbano essere aiutati a crescere in un ambiente favorevole”. 

Per molti anni Silvia è andata controcorrente, supportando un approccio “olistico” contro il cancro. “Erano gli anni in cui il termine ‘olistico’ si associava a una mentalità esoterica, ad attività come usare i cristalli e per questo anche in laboratorio venivo presa in giro. Ora, però, hanno capito che è questa la strada giusta per comprendere e sconfiggere il cancro e vorrei tanto essere più giovane per poter spendere al meglio tutto quello che ho appreso finora”. Una carriera quella di Silvia, costruita con coraggio tra l’America e l’Italia, con un portafortuna sempre sulla scrivania. “E’ l’albero della vita, l’ho sempre portato con me, me l’hanno regalato i miei compagni di corso a fine laurea: è questo di quarzo, bronzo e granata”. E il destino ha voluto che ora diventasse anche il simbolo del suo lavoro, visto che si occupa anche della parte “genetica dei tumori”. 

Sarà lei il prossimo 27 settembre a lanciare il progetto internazionale Saggitarius di cui Ifom è promotore e Silvia capo progetto che, in collaborazione con la Fondazione Airc, Bocconi, Ospedale Niguarda ed altri sei partners internazionali, ha ottenuto un finanziamento da 6 milioni di euro. Si tratta di uno studio clinico internazionale di medicina di precisione che coinvolgerà almeno 700 pazienti in 25 ospedali tra Italia, Spagna e Germania.  

“Saggitarius – spiega Marsoni – sfrutta le potenzialità diagnostiche della biopsia liquida per curare i pazienti con tumore del colon retto operabile. Tramite un approccio completamente nuovo, Saggitarius consentirà nel 70% dei casi di evitare le chemioterapie, sostituendole con un programma di sorveglianza attiva tramite periodici prelievi mensili di sangue e – prosegue Marsoni – per il 50% del restante 30% di casi sarà in grado di sostituire la chemio con terapie biologiche, basate su immunoterapia o farmaci a target molecolare, calibrati sul profilo del paziente”.  

Una nuova scommessa. Una delle tante di una vita, costellata di sogni e progetti. “Il mio desiderio per il futuro? Riuscire a utilizzare l’intelligenza artificiale per creare un ‘digital twin’ ossia un gemello digitale del paziente con tutte le informazioni sul tumore, il suo microambiente, il sistema immunitario e il microbioma del paziente”, che permetta di fare “la mossa giusta contro la malattia” perché “i tumori crescono e nascono non per conto loro, ma sono in osmosi con il tessuto circostante sano, quindi, con tutto il paziente”. “Dobbiamo capire quali sono queste interazioni” rivela, lanciando a tutto il suo team e in primo luogo a se stessa, ancora una volta, il guanto di una lunga sfida.  

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