(Adnkronos) – Si sono concluse nel porto di Civitavecchia le operazioni di sbarco dalla nave Life Support di Emergenvcy dei 156 naufraghi soccorsi tra la notte e la mattina del 16 febbraio in due diverse operazioni di salvataggio. Le 156 persone soccorse, riferisce Emergency, provengono da Bangladesh, Pakistan, Sudan, Eritrea, Egitto, Gambia, Chad, Camerun, Senegal Mali, Nigeria, Costa d’Avorio e Guinea Konakri. Tra di loro ci sono due donne (di cui una madre di tre bambini tra i 7 e i 10 anni) e 28 minori non accompagnati. Molti naufraghi raccontano di essere stati reclusi arbitrariamente in Libia dove hanno subìto violenze.
“Oggi è il primo giorno della mia vita. Non volevo passare la mia vita a fare il soldato e far la guerra per cui ho lasciato il mio Paese dopo aver terminato le scuole superiori. Mio fratello minore ha deciso di partire con me ma purtroppo in Libia siamo stati divisi e ora non ho idea di dove sia. É dura sentirmi ora al sicuro sapendo che lui in questo esatto momento è probabilmente ancora in qualche carcere libico. Ho 26 anni ma ho deciso di non contare i tre anni passati in Libia, come se la mia vita li si fosse interrotta e fosse ripresa solo oggi”, dice Iusef, uno degli uomini soccorsi, che sul corpo porta i segni delle violenze subito in Libia. “Per due anni ho viaggiato solo, sapendo che non c’era nessuno ad aiutarmi e che ero l’unico che si sarebbe preso cura di me. Molte volte ho pensato ai miei genitori, rimasti in Nigeria – racconta Keda, uno dei 28 minori non accompagnati a bordo della Life Support – Adesso mi sento addosso un’enorme responsabilità, la mia famiglia ha fatto enormi sacrifici per farmi arrivare fin qui e io ora farò altrettanto per loro”.
“Durante le due operazioni di salvataggio eravamo l’unica Ong in acque internazionali della zona Sar. Abbiamo avuto abbastanza difficoltà perché entrambe le imbarcazioni avevano evidenti problemi alla navigazione. La vita di queste persone era veramente a rischio, se non le avessimo trovate in tempo – spiega Emanuele Nannini, capo missione Sar di Emergency – Per noi il senso di questa missione è soprattutto salvare la vita di persone che scappano da guerra, torture e situazioni di sofferenza ma soprattutto dall’inferno libico. La società civile sta cercando di colmare un vuoto che è stato creato dall’indifferenza e dalla miopia delle istituzioni che da un lato non garantiscono canali sicuri per venire in Europa e dall’altro stanno facendo di tutto per fare in modo che la frontiera più letale dell’immigrazione venga completamente lasciata scoperta. Il nostro mandato è continuare a salvare vite in mare”.