“La società dell’allarme permanente” e il ruolo dell’informazione

(Adnkronos) – “Siamo sicuri che agitare scenari da incubo e sollecitare timori ancestrali (primo fra tutti quello della morte imminente) sia il modo migliore per mettere le persone dinnanzi alle proprie responsabilità?”. Parte da questo interrogativo del professore Alessandro Campi, in un intervento su ‘Il Messaggero’, una lunga riflessione del politologo sul ruolo dell’informazione nella società “dell’allarme permanente” e sul modo in cui i problemi della contemporaneità “vengono presentati e affrontati in particolare dal sistema globale dell’informazione”. 

“Quello che ci aspetta ogni mattina al risveglio, non solo in Italia, è ormai un ‘memento mori’ collettivo: martellante, pervasivo, inesorabile e appunto quotidiano – scrive il professore di Scienza politica e Relazioni internazionali all’Università di Perugia – Ci viene proposto da ogni possibile fonte – quotidiani, social, televisione, mondo politico e intellettuale – un racconto che non lascia speranze per il futuro. Siamo, tutti insieme, l’ultima generazione, ad un passo dalla catastrofe, peggio, dall’estinzione: ‘Ricordatevi che state per morire'”. 

Passando per “incendi, gente che muore dal troppo caldo, cataclismi, inondazioni” fino alla “pandemia globale, solo apparentemente sotto controllo”. E poi “vuoi che prima o poi non cada sulla terra un asteroide e allora faremo, senza poterlo raccontare a nessuno, la fine dei dinosauri. Ma non basta. La disoccupazione avanza, le fonti energetiche tradizionali non sono più utilizzabili, quelle alternative non bastano, l’acqua potabile è sempre meno, i ghiacciai si sciolgono, il mare aumenta di temperatura. Cereali e altri beni di prima necessità cominciano a scarseggiare mentre l’inflazione galoppa erodendo drammaticamente salari e risparmi. Gli immigrati in fuga dalla miseria arrivano a migliaia ogni giorno nelle zone ricche del mondo e presto non ci sarà posto per tutti. Non nascono più bambini, chi manterrà una popolazione sempre più vecchia”. 

Ancora, “come se non bastasse questo scenario storico cupo, abbiamo in Italia un governo accusato di togliere ai poveri per dare ai ricchi, città invase da orde di turisti che sporcano e distruggono ogni cosa (dove aver detto per decenni che il turismo, per definizione di massa, è una risorsa adesso scopriamo che è un problema), mentre Alain Elkann – dramma nel dramma – non può nemmeno più andare a Foggia in treno senza essere disturbato da bande di giovinastri incolti e volgari. Ammettiamolo, anche il serafico Buddha soffrirebbe d’ansia, perderebbe il sonno la notte e farebbe uso massiccio di ansiolitici a vivere in una società che – volendo darle un’etichetta – si potrebbe definire dell’allarme permanente”. Insomma, “ogni giorno, un passo verso il baratro”. 

Campi premette: “Siamo davvero – come mostra la cronaca degli ultimi anni – in una congiuntura del mondo particolare, difficile e per molti versi unica, tra conflitti armati, crisi economica e minacce all’ambiente di vario tipo. I problemi grossolanamente elencati, tranne lo psicodramma ferroviario di Elkann, sono tutti terribilmente seri e di non facile soluzione. La questione che si vuole segnalare è il modo con cui essi vengono presentati e affrontati in particolare dal sistema globale dell’informazione. Appunto, l’informazione, cioè la narrazione puntuale e pacata dei fatti, il tentativo di spiegare e far capire quel che accade, i problemi e le possibili soluzioni razionali, che pare ormai sostituita da un mix di sensazionalismo e propaganda, di terrorismo psicologico e mezze verità che spesso risultano essere mezze bugie”. 

“Ma siamo sicuri che agitare scenari da incubo e sollecitare timori ancestrali (primo fra tutti quello della morte imminente) sia il modo migliore per mettere le persone dinnanzi alle proprie responsabilità? – chiede Campi – Davvero la paura quotidianamente instillata rappresenta una forma efficace di pedagogia di massa C’è chi usa l’allarmismo per creare audience e allargare le vendite (ma senza grandi risultati). Chi per assecondare i partigiani del proprio campo e bastonare gli avversari. Chi perché convinto, magari in buona fede, che sia l’unico modo per svegliare le coscienze. Ma il risultato, alla fine, è la creazione di uno stato d’animo collettivo prossimo all’angoscia, che sfocia per alcuni nella rassegnazione, per altri nella rabbia. Si oscilla ormai, quotidianamente, tra impotenza e affanno, nella convinzione, sempre più diffusa, che sopravvivere è ormai il massimo che ognuno di noi può fare. Se, come si dice, l’obiettivo comune è costruire un mondo migliore dell’attuale, le modalità che abbiamo scelto per raccontare e rappresentare la nostra condizione odierna difficilmente ci aiuterà a raggiungerlo”. 

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