(Adnkronos) – La Bce ha scelto di non fermarsi. L’aumento dei tassi di interesse di 50 punti basi era prevedibile, nonostante il quadro nell’ultima settimana sia profondamente cambiato. Dei tre fattori chiave – inflazione, crescita e stabilità finanziaria – l’ultimo è diventato molto più ingombrante di quanto non fosse appena dieci giorni fa. Al rischio di penalizzare troppo l’economia reale per restare fedeli al mandato principale, quello di riportare i prezzi su un livello accettabile, si è aggiunto quello di creare ulteriore difficoltà alle banche europee, alle prese con il problema di arginare la nuova improvvisa crisi di fiducia, e di reputazione, che può investire il sistema.
Era possibile rallentare la corsa della politica monetaria E quali effetti avrebbe avuto sui mercati? Si sarebbe alimentata ancora di più l’incertezza innescata prima dal fallimento della Silicon Valley Bank e poi dalle enormi difficoltà di Credit Suisse? In un caso o nell’altro, le decisioni della Banca centrale in una fase come questa sono una ‘scommessa’ che ha un prezzo. La domanda che arriva subito dopo, cruciale, è chi pagherà questo prezzo?
Possono essere le banche, già nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Nonostante l’indicazione a cui fa riferimento il Consiglio della Bce, ovvero che “il settore bancario dell’area dell’euro è dotato di buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e liquidità” e le rassicurazioni della presidente Christine Lagarde. L’aumento del costo del denaro incide direttamente, e non poco, sulla capacità di reperire liquidità, soprattutto attraverso il mercato obbligazionario, che è sotto pressione da tempo. E la percezione degli investitori sulla solidità o sulla fragilità delle banche fa il resto. Ma dato che i salvataggi e tutti gli altri interventi per limitare i danni si fanno necessariamente con i soldi pubblici, i costi si scaricano sui contribuenti. Possono essere gli Stati a pagare il prezzo, con le loro politiche economiche, che possono vedere stringersi ulteriormente i loro spazi fiscali. E, anche in questo caso, il costo torna inevitabilmente sulla collettività. Dall’altra parte, a giustificare la ‘scommessa’ ci sono i benefici che derivano da un raffreddamento dell’inflazione. Per tutti, per le economie dei singoli Stati e per i cittadini europei.
Il dilemma, di difficile soluzione, riguarda l’equilibrio necessario fra i tre fattori che sono impattati dalla politica monetaria. Sempre, inflazione, crescita e stabilità finanziaria. Capire in quale ordine di priorità vanno messi, fino a che punto è necessario spingersi e quando fermarsi, e comunicare bene le ragioni di quello che si fa sono le uniche chiavi possibili per vincere la scommessa. E per distribuirne più equamente possibile il prezzo. (di Fabio Insenga)