Juve, crisi bianco(nera): Agnelli, Allegri e il flop senza fine

(Adnkronos) – Crisi (bianco)nera. La Juve di Massimiliano Allegri rientra a Torino dopo il flop in Champions League: la sconfitta contro il Maccabi Haifa sancisce l’eliminazione virtuale e l’addio agli ottavi, ennesimo passo falso in una stagione che rischia di andare in archivio già ad ottobre. Il prossimo impegno in calendario è il derby: la Juve, in ritiro, arriva alla stracittadina in condizioni pessime. 

Male in Europa, male in campionato, con 10 punti di ritardo dal Napoli capolista dopo appena 9 giornate: un ruolino di marcia pessimo, prodotto da prestazioni costantemente deludenti. “Provo vergogna per quello che sta succedendo”, ha detto ieri il presidente Andrea Agnelli, mettendo in discussione tutto l’universo bianconero e dribblando la questione relativa alla posizione del tecnico: “Siamo completamente fuori linea, io sto parlando di gruppo, non ci sono responsabilità individuale. Non è una questione di una persona sola. Questa è una questione di gruppo in questo momento e da questo dobbiamo ripartire. Non ci sono responsabilità individuali. Le verifiche la Juventus le ha sempre fatte a fine anno, faccio fatica a pensare ad un cambio in corsa alla Juventus, Allegri è l’allenatore e rimarrà”. 

E Allegri, dopo l’ennesima gara oscena, cosa ha detto? “Ho mai pensato alle dimissioni? Assolutamente no, una sfida quando diventa difficile è ancora più bella. Questo deve entrare nella testa di tutti. Dobbiamo uscirne con coraggio”. 

Al di là dei buoni propositi, il presente e il futuro della Vecchia Signora sono più tendenti al nero che al bianco. Il Cda ha appena approvato un bilancio in perdita di 254,3 milioni di euro: gli effetti del covid si fanno ancora sentire sui conti di un club che, dopo il recente aumento di capitale, deve scegliere una linea improntata alla sostenibilità. Allegri, in questo senso, rappresenta un investimento assolutamente oneroso: un ricco contratto quadriennale per il tecnico livornese, richiamato nel 2021 dopo le parentesi Maurizio Sarri-Andrea Pirlo. La Juve ha esonerato gli ultimi 2 allenatori vincenti dopo appena una stagione. Sarri è stato congedato dopo aver vinto lo scudetto, Pirlo – imbarcato all’improvviso nell’estate 2020 – è stato silurato con la Coppa Italia e la Supercoppa in bacheca. 

La Juve, che aveva divorziato da Allegri nel 2019, non ha avuto la forza e la convinzione per cercare una via alternativa al ‘corto muso’, la visione allegriana del calcio che snobba le squadre ‘belline’ e semplifica lo sviluppo del gioco fino all’estremo: “Bisogna passare la palla a quelli con la stessa maglia”. 

In questo percorso schizofrenico, tra tentativi di evoluzione e bruschi ritorni al passato, la Juve si ritrova adesso con una rosa asimmetrica e difficilmente migliorabile senza l’ennesima rivoluzione. Veterani a fine corsa e giovani da far crescere: in mezzo, l’assenza di veri leader e la mancanza di qualità. In estate, si è provato a porre rimedio con il ritorno di Paul Pogba – mai disponibile per la lesione del menisco e ancora ai box – e l’arrivo di Angel Di Maria, fenomeno col pallone tra i piedi ma presente a singhiozzo: infortuni muscolari a raffica – non proprio un’anomalia per la Juventus – è un’espulsione a Monza con squalifica conseguente per il sudamericano. 

Risultato: dopo l’estate in cui se ne sono andati Matthjis DeLigt, Paulo Dybala e Alvaro Morata, la Juve si ritrova con una squadra più debole e più fragile. Gli anomali Mondiali in Qatar, con la stagione spaccata in 2, offrono una chance potenziale per un reset o almeno per un robusto tagliando in vista del mercato di gennaio, che per la Juve potrebbe diventare l’ultima scialuppa come già accaduto all’inizio del 2022: a gennaio i bianconeri hanno speso per prendere Vlahovic e Zakaria (poi impacchettato in estate e spedito a Londra) e conquistare il quarto posto, utile per la Champions e per il bilancio. A gennaio 2023, in campionato, il rischio è galleggiare troppo lontano dalle posizioni di vertice. 

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