Il lavoro stabile rischia di scomparire, lo dicono i nuovi contratti

(Adnkronos) – La flessibilità, buona o cattiva che sia, sta diventando l’unica forma di lavoro in Italia. C’è un dato, contenuto nel rapporto dell’Inapp presentato oggi, che più di altri segnala la trasformazione in atto. Il lavoro stabile, se il trend rilevato nel 2021 dovesse confermarsi, rischia di scomparire.  

L’anno scorso il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. Vuol dire che dei nuovi contratti fatti solo il 17% è a tempo pieno e stabile.  

“Il tema del crescente aumento dei contratti non standard rappresenta una costante del modello di sviluppo occupazionale italiano, che ha attraversato la prima crisi 2007-2008, sino a diventare requisito ‘strutturale’ della ripresa post Covid”, ha evidenziato il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda.  

La tesi è sostenuta dall’analisi comparata longitudinale per i periodi 2008-2010, 2016-2018 e 2018-2021 di chi svolgeva un impiego precario. In tutti questi periodi la ‘flessibilità buona’ ha portato a un’occupazione stabile tra il 35 e il 40%. Dei rimanenti, sempre a distanza di tre anni, una quota ha continuato a svolgere un lavoro precario (tra il 30 e il 43% a seconda del triennio), un’altra ha perso l’impiego ed è in cerca di lavoro (16-18%), un’altra ancora è uscita dalla forza lavoro dichiarandosi inattiva (17% nel 2021, nel 2010 era il 3%).  

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