(Adnkronos) – Prima il premier, Giorgia Meloni, nel suo discorso programmatico: “I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno”. Oggi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy: “Mai una mia dichiarazione contraria alle trivellazioni, quando sono necessarie nel rispetto dell’ambiente”. Il governo Meloni è pronto a fare ricorso alle trivelle per aumentare la produzione nazionale di metano. Il messaggio è arrivato, chiaro.
Ma a che punto siamo e dove è possibile tornare a sfruttare i giacimenti in mare?
La base da cui partire è la fotografia attuale della geografia dei giacimenti in mare e del loro potenziale di sfruttamento. Il Pitesai è il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, ovvero la mappa dei siti dove è possibile estrarre idrocarburi. La maggior parte sono nel Mar Adriatico, davanti alle coste dell’Emilia Romagna, delle Marche, dell’Abruzzo e del Molise, ma ce ne sono altri nel Canale di Sicilia, e ci sono riserve anche nel fondale dello Ionio e a nord-ovest della Sardegna.
I numeri sono eloquenti. In Italia ci sono 1.298 pozzi produttivi di gas naturale. Tra questi, 514 sono ‘eroganti’, e quindi solo utilizzati per le estrazioni; 750 ‘non eroganti’, ovvero non sono attivi. Altri 32 pozzi servono alla manutenzione e ad altri utilizzi. Non sono pochi e sarebbero in grado di garantire, secondo le stime del Mise, 350 miliardi di metri cubi di gas naturale, tra riserve confermate e potenziali.
In base ai dati del ministero dello Sviluppo economico, nel 2021 l’Italia ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, mentre il consumo si è attestato a 76,1 miliardi di metri cubi. Nelle intenzioni del nuovo governo c’è l’obiettivo dichiarato di accorciare questa distanza, per ridurre la dipendenza dalle importazioni e ritrovare sovranità anche in campo energetico. Per farlo, deve passare anche dal mare. E dalle trivelle. La sfida è farlo nel rispetto dell’ambiente e del territorio.