Giornalisti ed esperti a confronto a Tropea, per combattere le mafie serve la società civile

(Adnkronos) – Non solo la politica, non solo la magistratura. Per combattere le mafie serve la società civile. Serve un risveglio delle coscienze che può venire solo dalla cultura, dalla conoscenza dei fenomeni, dalla conoscenza anche dei linguaggi che la criminalità organizzata usa oggi. Perché la mafia è un fenomeno umano e può essere sconfitta, diceva Falcone, ma per sconfiggerla bisogna capirne le dinamiche. Serve, insomma, un nuovo protagonismo civile. 

Quel protagonismo civile che è attività in prima linea, ma anche comunicazione e informazione. È proprio per questo che ieri, 22 luglio, si sono riuniti a Tropea giornalisti e studiosi per parlare di come comunicare il nuovo protagonismo civile. Ospiti di Link|Tropea Communication Meeting, organizzato da LaC Network e ViaCondotti21, due giorni di giornalismo e comunicazione nel meraviglioso Palazzo Santa Chiara, nella perla della Calabria. Il panel è stato moderato dalla giornalista di LaC News Rossella Galati e dal direttore di LaC Pier Paolo Cambareri. 

Si è parlato dei nuovi linguaggi delle mafie con Marcello Ravveduto, storico, docente di Digital & Public History all’Università di Salerno, esperto di mafie e nuovi linguaggi, autore di diversi saggi sul rapporto tra immaginario collettivo e fenomeni mafiosi. Perché la criminalità organizzata è cambiata e il suo modo di comunicare all’esterno e raccontarsi è evoluto con la nascita dei nuovi media. “Oggi la criminalità si racconta da sola sui social, non c’è più nemmeno bisogno dei giornalisti a fare da mediazione – ha detto Ravveduto – La generazione z di mafiosi oggi non si vergogna più, ma anzi è orgogliosa del benessere che viene dalle attività criminali, l’ostentazione del lusso è fondamentale per creare quell’immaginario che serve a rendere le mafie affascinanti. Oggi le mafie sono diventate un brand, i loro messaggi violenti sono stati sdoganati Su Tik Tok i giovani camorristi oggi si esibiscono in Ferrari sotto la Tour Eiffel e i loro video vanno in trend insieme a quelli delle influencer. Quello di cui abbiamo bisogno non è la retorica dell’antimafia, ma azioni. Questo è protagonismo civile. Non lotta retorica, ma costruzione di una nuova responsabilità. Questo è protagonismo civile”. 

In collegamento c’era anche Antonio Nicaso, storico delle mafie, uno tra i maggiori esperti al mondo di ‘ndrangheta, coautore di molti libri sulla criminalità organizzata insieme a Nicola Gratteri. “È come se non fossi mai partito dalla mia Calabria» dice Nicaso, nato e cresciuto a Caulonia e ora docente in importanti università in Canada e negli Stati Uniti. «Dobbiamo capire che ogni giorno è possibile fare scelte consapevoli. Tutti noi possiamo farlo» ha detto «I mafiosi amano raccontarsi e hanno voglia di essere raccontati. Hanno seguito la strada tracciata già da anni dai narcos messicani che si raccontano su Tik Tok. Ai mafiosi piace raccontarsi senza intermediazione. Il nostro compito, quindi, è raccontare l’antimafia. Far capire alle nuove generazioni da che parte è giusto stare”.  

“Per rilanciare la Calabria deve cambiare la politica – ha continuato Nicaso – Per recuperare gli anni che ha perso, la Calabria ha bisogno di una politica che torni al servizio della collettività”. 

Alla serata hanno partecipato anche Paolo Di Giannantonio, giornalista e volto storico di Rai 1, e Angela Iantosca, giornalista e scrittrice che ha dedicato diversi libri alla ‘ndrangheta. “Ai calabresi che si sentono vittime di pregiudizi dico “Non siete soli” – ha detto Di Giannantonio – I calabresi devono essere orgogliosi di molte cose. Sono i calabresi ad essere andati in piazza a Milano il 5 luglio scorso, a manifestare contro la ‘ndrangheta. È così che si supera il pregiudizio. Con la partecipazione, con i programmi televisivi che parlano di Rinascita Scott, il processo che non ha nessuno spazio sulle tv nazionali. Questo non è pregiudizio. È coraggio”. 

“La ‘ndrangheta non è un problema della Calabria, ma dell’Italia intera – ha detto Angela Iantosca – Forse è vero che i calabresi dovrebbero aprirsi di più, ma l’informazione dovrebbe prestare alla Calabria molta più attenzione. Ho visto gli stessi atteggiamenti mafiosi, lo stesso linguaggio, in tutta Italia. I più violenti li ho visti in Brianza”.  

Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, che è partner dell’evento insieme al Comune di Tropea, ha presentato la Scuola di Alta Formazione che avvierà i suoi corsi in autunno e avrà un focus sui nuovi linguaggi delle mafie. “Il problema del Sud è la mancanza di associazionismo. Le persone non si mettono insieme – ha detto Foti – In Calabria la società civile non è organizzata, il problema è che la criminalità lo è”. 

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