Gaza tra racconto e denuncia, esodo dal nord e rischi in tutta la Striscia

(Adnkronos) – Racconti dalla Striscia di Gaza dove interventi verrebbero fatti a lume di candela e senza anestesia. Storie di corpi in decomposizione che si troverebbero lungo la strada indicata dai militari israeliani come percorso sicuro per i civili che seguono le istruzioni di spostarsi da nord a sud nell’enclave palestinese. Storie di parenti uccisi lungo il cammino. Ospedali e panifici chiusi. Se il pane non si trova, l’acqua è un sogno.  

Peggiora la situazione nel nord di Gaza mentre Israele stringe la presa su Gaza City, dove le forze israeliane (Idf) ritengono si trovi il ‘cuore’ dell’infrastruttura di Hamas, scrive il Washington Post. Molti civili si spostano, a piedi, verso sud, sventolando bandiere bianche, come si vede in immagini diffuse dalle Idf, dopo settimane di bombardamenti israeliani. Sono scattati a seguito del terribile attacco di Hamas del 7 ottobre in Israele, poi è iniziata l’operazione di terra e ampie aree della zona nord di Gaza sono ridotte in macerie. 

Da cinque giorni i militari israeliani annunciano orari e istruzioni con cui garantiscono ai civili spostamenti “sicuri” verso sud, dove comunque continuano i bombardamenti israeliani, ma – evidenzia il Post – molte famiglie non considerano sicuro il “passaggio”, nonostante circa la metà degli 1,19 milioni di abitanti del nord di Gaza abbiano già fatto il viaggio. Tra chi fugge, ha confermato l’Onu, ci sono bambini, anziani, disabili. La maggior parte si mette in cammino con poco o nulla al seguito. Ieri, stando a dati dei militari israeliani rilanciati dal Guardian, ben 50.000 persone sono fuggite dal nord. 

“La scorsa settimana mio cugino è stato ucciso in un bombardamento sulla strada tra Gaza City e Rafah – ha detto la 41enne Rawan Abu Hamda, una mamma di Gaza City citata dal Post – Ho paura di fare questa lunga strada a piedi con le mie figlie”. La Bbc racconta di persone di Gaza fuggite dagli intensi combattimenti nel nord che hanno descritto il loro viaggio verso sud. C’è chi, riferisce l’emittente britannica, dice di aver visto corpi in decomposizione lungo la Salah al-Din Road indicata dagli israeliani per gli spostamenti dei civili in determinate fasce orarie. 

Bbc Verify ha visionato filmati, ascoltato testimonianze e analizzato immagini satellitari. La rete precisa di non aver trovato negli ultimi giorni video o immagini di corpi lungo la Salah al-Din Road e di aver anche verificato la posizione (circa tre chilometri a nord di Wadi Gaza) delle immagini diffuse dalle Idf che mostrano persone in cammino lungo quella strada, alcune armate di bandiere bianche, ‘sotto lo sguardo’ di un tank israeliano. 

Mahmoud Ghazzaawi, riporta la rete britannica, ha raccontato di essere scappato per l’intensità degli attacchi dalla sua casa ad al-Zeitoun, nel nord di Gaza. Ha detto di aver lasciato l’abitazione a mezzogiorno e di aver camminato per cinque ore. “Ci sono martiri lasciati a terra”, ha affermato. BBC Verify ha anche analizzato immagini satellitari della Salah al-Din Road – fino a Wadi Gaza – cercando di definire il livello di danni provocati dal conflitto, tra crateri sull’asfalto ed edifici danneggiati ai lati della strada, mentre le Idf continuano a rimarcare di fare tutto il possibile per evitare vittime civili. 

Gli sfollati nel sud, ricostruisce il Post, si sono rifugiati nei cortili degli ospedali, in case private, nelle strutture dell’Unrwa, tutte più che sovraffollate e dove la carenza di acqua e cibo diventa sempre più preoccupante. Secondo l’Agenzia Onu, in un centro a Khan Younis, più di 600 persone condividono lo stesso bagno e in media nei rifugi dell’Unrwa ci sono circa 700 persone per ogni doccia. 

Stando alle Nazioni Unite, dal 7 ottobre sono più di 1,5 milioni i palestinesi sfollati. Due terzi degli sfollati a Gaza si sono spostati a sud della zona che Israele ha chiesto di sgomberare, ma altri ancora – scrive il Post – cercano luoghi sicuri nel nord. Più di 121.000 persone si sono spostate in rifugi nel nord di Gaza gestiti dall’Unrwa, anche se sono completamente ferme le distribuzioni di generi alimentari e l’assistenza sanitaria. Non solo. Sabato scorso, secondo il ministero della Salute di Gaza dell’amministrazione controllata da Hamas, raid israeliani hanno colpito una scuola di un programma dell’Unrwa con un bilancio di 15 morti. Lo stesso ministero riferisce di circa 80.000 persone che affollano i due più grandi ospedali di Gaza City.  

“I corridoi sono pieni di feriti. I pronto soccorso sono strapieni – ha denunciato in una dichiarazione alla stampa rilanciata dal Post Marwan Abusada, primario di chirurgia dell’ospedale al-Shifa di Gaza City – Ci sono alti rischi della diffusione di pandemie tra i pazienti e gli sfollati che non sono più solo all’esterno”. Rischio di rapida diffusione di malattie infettive denunciato anche ieri dall’Organizzazione mondiale della sanità. 

A Gaza nord, ricostruisce il Post, c’erano 38 panifici, dieci sono stati messi fuori uso dai raid israeliani, gli altri non hanno acqua, farina a sufficienza per stare aperti. “Israele ha tagliato i beni di prima necessità indispensabili per la sopravvivenza – ha detto Abu Hamda, la mamma di Gaza City citata dal Post – Non ci sono panifici che vendano il pane a Gaza nord. Gli scaffali dei supermercati sono vuoti, le verdure sono sparite”. Abu Hamda ha raccontato di persone che “in strada cercano qualsiasi forma di acqua”, che “si può comprare al mercato nero a prezzi molto alti”. La maggior parte delle famiglie non può permettersi di fare il bagno, ma – dice – anche per i pochi che possono l’acqua è sporca. 

Stessa sorte per gli ospedali. Secondo il ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas, più del 90% delle strutture di assistenza di base nel nord di Gaza ha chiuso, sono chiusi sette ospedali della regione. Hanno chiuso 18 dei 35 ospedali di Gaza, evidenzia il Guardian citando fonti sanitarie locali con racconti di interventi, anche amputazioni, effettuati a lume di candela, senza anestesia e con l’aceto come disinfettante. E si temono grandi problemi per la carenza di personale con lo spostamento di intere famiglie nel sud. 

Dal 9 ottobre a Gaza non entra carburante. E’ tutto così limitato che, scrive il Post, i più grandi ospedali di Gaza City stanno limitando l’assistenza. Il 6 novembre, prosegue il giornale, raid israeliani hanno danneggiato i pannelli solari del reparto principale dell’ospedale di al-Shifa, riducendo l’ospedale a contare solo su un generatore secondario riservato a dialisi e casi gravi in cui serve ossigeno. La Mezzaluna Rossa palestinese ha denunciato una situazione tale da costringere l’ospedale al-Quds a chiudere la chirurgia. 

L’Oms, evidenzia ancora il Guardian, ha segnalato più di 33.551 casi di diarrea da metà ottobre, per lo più tra i bambini con meno di cinque anni. “Abbiamo bisogno di carburante per gestire le strutture che sosteniamo – ha detto la portavoce di Unrwa, Juliette Touma, citata dal Post – Si può dire che il carburante viene usato come arma di guerra”. E la mancanza di carburante ha ripercussioni anche sulla raccolta dei rifiuti solidi. 

“Le atrocità commesse dai gruppi armati palestinesi il 7 ottobre sono state terribili, sono stati crimini di guerra, così come lo è la continua detenzione di ostaggi – ha denunciato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, in dichiarazioni rilanciate dal Guardian – Anche la punizione collettiva da parte di Israele dei civili palestinesi costituisce un crimine di guerra, così come lo sfollamento forzato illegale di civili”. 

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