Francesco Valdiserri morto un anno fa, il padre: “Mai aperta la lettera di chi l’ha investito”

(Adnkronos) – “Il 20 ottobre sarà un anno. Un anno che mio figlio non c’è più. Non ho ancora aperto la lettera della ragazza che era alla guida della macchina che lo ha travolto e ucciso”. A parlare all’Adnkronos è Luca Valdiserri, papà di Francesco, travolto e ucciso la notte tra il 19 e il 20 ottobre 2022 su un marciapiede della via Cristoforo Colombo dall’auto guidata dalla 23enne Chiara Silvestri. 

“Me l’ha consegnata il suo avvocato il primo giorno del processo per l’omicidio di Francesco. Dieci mesi dopo l’incidente, quando io e mia moglie Paola abbiamo trovato un equilibrio, quando ormai una scusa o un cenno di pentimento sarebbero inutili e quando magari correremmo il rischio di provare fastidio per una frase o un riferimento. Insomma, non sento il bisogno di andare a mettere la mano nell’alveare. E poi non siamo nemmeno credenti, il perdono non spetta certo a noi. Così ho preso la lettera ancora chiusa e l’ho nascosta da una parte, nemmeno Paola sa dove”, aggiunge.  

“Francesco era andato a vedere con il suo migliore amico Niccolò il film ‘Margini’, che racconta le vicissitudini di un gruppo di ragazzi che tenta di sfondare con la musica, un po’ come quello che facevano loro, con il gruppo. Una volta usciti dal cinema, si sono incamminati verso casa di ‘Nicco’, che abita proprio a due passi da lì”, dice il papà di Francesco. 

“Erano di spalle, sul marciapiedi, quando la macchina ha imboccato la traversa a velocità sostenuta, prendendo prima un segnale stradale per poi schiantarsi su un albero e travolgere mio figlio, finendo la sua corsa contro un muro. Era passata da dieci minuti la mezzanotte del 20 ottobre. L’ambulanza è intervenuta, i medici hanno provato a rianimare Francesco, ma non c’è stato niente da fare. Ecco, in questo tempo da quella notte ho sentito spesso dire che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma non è così. Francesco si trovava al posto giusto, sul marciapiede, al momento giusto dopo essere uscito dal cinema col suo migliore amico”, aggiunge.  

“Quella sera mi aveva detto che non avrebbe fatto tardi, che il giorno dopo avrebbe avuto lezione all’università. Così a mezzanotte, mezzanotte e mezza mi sono svegliato. Non vedendolo tornare gli ho mandato dei messaggi, ho chiamato lui, ho chiamato il suo amico. Senza mai avere risposta. Così ricordo di essermi dato un tempo, ho pensato ‘Se per le due e mezza ancora non torna, chiamo ospedali e commissariati’. Alle 2 ero alla finestra, quella di casa nostra a Testaccio che dà sulla piazza. Ho visto una pattuglia della Polizia Locale arrivare lenta, sapevo che se si fosse fermata e da quella fossero scesi, allora voleva dire era finita”, prosegue. 

“Li ho visti aprire gli sportelli, camminare verso il portone e citofonare. ‘Ci dispiace, è successa una cosa brutta’, hanno detto, mia moglie Paola e nostra figlia Daria, più piccola di 20 mesi di Francesco, erano lì con me. Io ricordo di aver preso dai vigili lo zaino di mio figlio, quello che aveva quando è uscito e di averli seguiti con la macchina fino al punto dove Francesco era ancora a terra, in strada”.  

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