(Adnkronos) – Un Congresso “di profonda riflessione” dopo le elezioni politiche 2022 per un “nuovo Pd” affidato a “una nuova generazione”. Pochi punti di riferimento ma essenziali, quelli fissati da Enrico Letta nella conferenza stampa post voto in cui ha annunciato che non si ricandiderà più alla guida del Pd. Il segretario, pur senza dimissioni, si è in sostanza presentato al Nazareno con il testimone in mano, promettendo tra l’altro che i tempi congressuali verranno “accelerati”.
Il Congresso del Pd si sarebbe dovuto tenere, a scadenza, nel marzo prossimo. Lo Statuto dem è molto preciso sui vari passaggi previsti, con tanto di indicazione dei giorni necessari. Alcune procedure sono state snellite di recente ma l’intera procedura congressuale richiede in condizioni normali 3-4 mesi di tempo. Sono previste due fasi, con vari ‘step’ intermedi. La prima fase è dedicata al confronto sui documenti congressuali e porta alla selezione dei candidati (almeno 40 i giorni previsti). La seconda comprende il dibattito e il voto nei Circoli e arriva fino alle primarie aperte (oltre 50 giorni necessari).
Per questo nessuno in casa Pd si sbilancia più di tanto sul ‘taglio’ dei tempi. Ma più di un dirigente, calendario in mano, prevede che prima dell’inizio del 2023 (febbraio, più precisamente) sarà difficile tenere le Assise. Del resto Letta ha spiegato che la sua guida con “spirito di servizio” dovrà garantire l’avvio della legislatura, che con la legge di Bilancio alle porte e le scadenze del Pnnr sarà serrata e molto delicata, e poi la convocazione del Congresso.
Questo non significa che nella comunità dem i movimenti congressuali non siano già partiti. Anche se per parlare di posizionamento politico (più a sinistra Più verso il M5s? Vocazione maggioritaria) è davvero ancora troppo presto. Comunque è da ben prima del voto che si parla di possibili candidati alla guida dei Partito democratico. Il nome più gettonato degli ultimi mesi è stato quello del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini.
Molto, però, dipenderà dal posizionamento delle varie aree interne al partito. La sinistra interna, infatti, ha sempre avuto un candidato al Congresso. Molti, quindi, guardano con attenzione alle scelte che vorranno fare big come Andrea Orlando o il vice segretario Peppe Provenzano. Stesso discorso per Base riformista, l’area che fa riferimento al ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Fino a qualche mese fa molti scommettevano sulla presenza di un candidato riformista al Congresso, con tanto di identikit che coincideva con quello di Giorgio Gori. Ma lo ‘showdown’ elettorale ha scompaginato molti programmi.
C’è poi il ‘partito’ dei sindaci, con nomi come Antonio Decaro e Dario Nardella già entrati da tempo nel totonomi. Resta poi in campo l’ipotesi di una segretaria, una prima volta, perfetto contraltare ad una donna premier (se sarà Meloni a guidare il governo). Le dirigenti dem di primo piano non mancano: le capogruppo uscenti Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, la vice segretaria Irene Tinagli, solo per fare alcuni esempi. Anche se l’applausometro delle piazze dem in questa campagna elettorale una indicazione l’ha data in modo netto: Elly Schlein, incoronata dalla stampa estera come la Ocasio-Cortes italiana, potrebbe mettere tutti d’accordo.