(Adnkronos) – “C’è stata la scomparsa di De Mita, appena poche ore fa, accompagnata da un cordoglio diffuso, sentito e trasversale. Ci sono stati i giorni di Moro, quel rinnovarsi – anche attraverso la fiction – della sua tragedia nell’intervallo che corre tra il 16 marzo (il rapimento) e il 9 maggio (l’uccisione). Poi il centenario della nascita di Berlinguer, con il lungo corteo di ricordi, testimonianze, libri e rievocazioni. Nel frattempo l’elezione di Stefania, figlia di Craxi, alla presidenza della commissione esteri del Senato. Si aggiungano pure i funerali della vedova di Almirante. Come se appunto le grandi figure del passato repubblicano si riaffacciassero tutte insieme quasi a mettere a confronto le loro storie con le nostre ricordandoci, per un verso o per l’altro, le criticità di un presente tutt’altro che brillante e magari anche quelle di un futuro che si prospetta perfino più opaco.
A Shostacovic, ancora ai tempi di Stalin, venne chiesto quale potesse essere il futuro della musica sovietica. ‘Il suo passato’, rispose polemicamente il compositore. Può darsi che valga la stessa cosa anche per la politica di casa nostra. E cioè che, passando di delusione in delusione, ci ritroviamo infine tutti insieme a celebrare le virtù dei nostri progenitori, finendo per accalcarli sul palcoscenico della stessa rappresentazione, quasi fossero parte -tutti quanti- della stessa compagnia di giro.
Eppure, fosse così, sarebbe un’illusione ottica. Già, perché tutti quei signori, onusti di storia e di gloria, erano personalità assai diverse tra loro, e qualche volta persino agli antipodi. Si combattevano ai loro tempi con vigore e non si può dire che nella battaglia politica rinunciassero a colpire l’avversario, denunciandone le criticità e le malefatte -vere o presunte. Per giunta alle loro spalle operava un apparato ideologico possente, impegnato quasi ogni giorno a ricordare a ognuno di loro quanto fosse cruciale la necessità di sbarrare il passo ai nemici della loro fede e/o delle loro più laiche ragioni.
Naturalmente il pendolo delle collaborazioni (e specularmente delle avversioni) oscillava in modi piuttosto vorticosi. E così si può dire che Moro e Berlinguer si rispettassero ma non si sa fino a che punto immaginassero di spingere la loro collaborazione. Che De Mita e Craxi non si amassero pur convivendo nella stessa combinazione di governo. Che Almirante e Berlinguer avessero un certo riguardo l’uno per l’altro, sia pure a distanza. E così via, fino a descrivere un vero e proprio labirinto di combinazioni in mezzo alle quali potevano avvenire molte cose, e anche molto contraddittorie.
Il punto è che quella classe dirigente – tutta: centro, sinistra, destra – si era data un compito: quello di esercitare una sorta di pedagogia nei confronti dei propri elettori. I quali elettori, almeno a quel tempo, erano molto più propensi allo scontro e alla demonizzazione dei loro antagonisti di quanto non capitasse ai loro dirigenti. Così, oggi, quei dirigenti possono essere ricordati con una certa benevolenza da un fronte assai più ampia dei loro accoliti di una volta. Erano dei guerrieri, ma anche a modo loro degli uomini di pace. O quantomeno di negoziato.
Erano, se vogliamo, i vizi e le virtù di un’altra stagione, quella della guerra fredda. Quando appunto i partiti e i loro dirigenti venivano chiamati a gestire, attutire, ammorbidire conflitti aspri e divisioni laceranti. Mentre ora sembra essere subentrata una stagione che ha caratteristiche opposte. Laddove cioè i dirigenti alimentano ed estremizzano conflitti qualche volta del tutto fittizi, soffiando sul fuoco di differenze quasi -quasi- minimali.
Su quale sia il modo migliore di interpretare la democrazia, a quanto pare, le opinioni sono le più diverse. Quanto all’opinione dei posteri, quando sarà, non è detto che si rivelerà così indulgente con i nostri contemporanei”.
(di Marco Follini)