Credit Suisse, crisi e soluzione: cosa dice l’economista

(Adnkronos) – Il sostegno garantito dalla Banca nazionale svizzera (Bns) rappresenta un aiuto importante, ma non risolve le sfide che l’istituto dovrà affrontare. Ad affermarlo in un’intervista all’agenzia di stampa finanziaria Awp, è Sergio Rossi, professore di economia all’università di Friburgo sulla vicenda Credit Suisse. 

Credit Suisse, spiega Rossi, “sta affrontando una duplice mancanza di fiducia, da un lato sui mercati finanziari e dall’altro tra i risparmiatori. Il sostegno della Bns, che sta mettendo sul piatto molti soldi, dovrebbe aiutare a recuperare parte della fiducia degli azionisti nonché dei clienti attuali e potenziali. Resta da vedere cosa ne farà la banca, ma è su questi due pilastri che dobbiamo agire. Ma anche con il prestito della Bns, il Credit Suisse non avrà risolto tutti i suoi problemi in una settimana”. 

Per quanto riguarda gli eventuali i rischi per Credit Suisse dovuti alla sua quotazione borsistica storicamente bassa, l’economista spiega: “Un prezzo così basso è probabile che alimenti ulteriori vendite, che a loro volta accelereranno ulteriormente il calo della valutazione senza generare alcun interesse per il titolo, se non da parte degli hedge fund, ma ne dubito in questa fase. Inoltre, le notizie di stampa potrebbero spingere i piccoli risparmiatori a ritirare i loro depositi dal Credit Suisse e a metterli al sicuro, ad esempio, presso le banche cantonali. Questa fuga di depositi comporterebbe a sua volta rischi di liquidità e solvibilità per l’istituto, minacciando la capacità della banca di far fronte ai propri debiti in tempo, o addirittura di pagarli nelle prossime settimane o mesi”. 

Per quanto riguarda il fatto che Credit Suisse possa essere un potenziale obiettivo di acquisizione, Rossi sottolinea che l’istituto bancario elvetico “così com’è non è attraente, a meno che non si possa cedere la parte peggiore della banca e mantenere quella redditizia. Ciò significherebbe smembrare l’istituto ‘troppo grande per fallire’ in parti che sarebbero utili per altre istituzioni finanziarie”. La parte peggiore, sostiene, sarebbe “la Banca d’investimento! O almeno gran parte dell’investment banking. A differenza di Ubs, che sembra aver imparato la lezione del 2008 abbandonando il comparto e concentrandosi maggiormente sulla gestione patrimoniale, Credit Suisse non ha mai cambiato registro e ora ne sta pagando le conseguenze. La banca d’investimento ha un potenziale conflitto d’interessi, soprattutto perché consiglia le società sul prezzo delle azioni che intendono emettere e poi acquista quelle stesse azioni quando vengono emesse. Si tratta inoltre di un’attività che specula con il denaro dei correntisti, oltre che con i fondi della banca stessa. E non sono i risparmiatori a dover pagare le conseguenze di decisioni di investimento sbagliate!”. 

“Il concetto di ‘troppo grande per fallire’, spiega ancora Rossi, “rimane un pacchetto di misure per il bel tempo. Il coefficiente di capitale richiesto alle banche, sistemiche o meno, rimane significativamente inferiore a quello richiesto ai privati, quando le controparti offerte sono titoli finanziari e non immobili il cui valore è meno soggetto all’evaporazione, ad esempio. Come abbiamo visto all’epoca con Ubs, questi cuscinetti di garanzia possono essere tossici. I 100’000 franchi di garanzia dei depositi sono solo teorici, in quanto il fondo conferito da tutte le banche a questo scopo copre attualmente una somma di circa 8 miliardi di franchi. Se, ad esempio, Credit Suisse dovesse fallire, la somma eccedente gli 8 miliardi non sarebbe garantita. Il problema sarà ancora più grave se un’insolvenza di Credit Suisse dovesse coinvolgere altre banche”. 

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