Covid, Remuzzi: “Tanti morti a Bergamo? In 15% casi chiave Dna”

(Adnkronos) – “Nel mondo le ‘vittime’ del cromosoma di Neanderthal, fra i morti Covid, sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”. E’ importante spiegare quello che è successo nell’epicentro iniziale della pandemia di Covid per Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri. Ed è con questo obiettivo che nasce lo studio Origin, condotto da ricercatori dell’Irccs, e da lui guidato sulla popolazione di Bergamo e provincia, e presentato oggi a Milano. “Secondo un calcolo fatto sui nostri dati di Bergamo, il 15% del totale dei morti Covid sono morti non per altre cause, ma per qualcosa che si potrebbe spiegare con dei geni” di rischio.  

Un lavoro che ha dimostrato, nei residenti in quelle aree più colpite dal virus, come una certa regione del genoma umano si associ in modo significativo con il rischio di ammalarsi di Covid-19 e in forma grave. Nel mirino degli scienziati sono finiti i geni ereditati dai Neanderthal. “Quando abbiamo visto che in tutta quest’area vicino a Bergamo, Alzano, Nembro, c’era una frequenza di malattie gravi e di morti, con numeri che erano 850 volte superiori a quelli che ci si poteva aspettare perlomeno nei primi tempi, ci siamo chiesti: perché qualcuno si ammala in modo grave e qualcun altro in modo lieve? Abbiamo raccolto così 10mila persone di cui conosciamo tutti i dati personali, la storia familiare, e ci siamo convinti che potesse esserci qualcosa di genetico”, ha raccontato Remuzzi.  

Con questa analisi “ci siamo concentrati su un gruppo di varianti genetiche, varianti che si ereditano tutte insieme. In particolare un aplotipo – quello dei Neanderthal – sopravanzava tutti gli altri in termini di rischio della malattia, è in assoluto il più convincente. Non è che non si sapesse che il Covid grave si associa a questo aplotipo, ereditato dai Neanderthal che sta sul cromosoma 3”, ha puntualizzato Remuzzi, ricordando come questo aspetto fosse stato “visto in un articolo pubblicato su ‘Nature’ dal genetista Svante Paabo, premio Nobel per la medicina”, ritenuto un padre della paleogenetica “per la sua capacità di estrarre il Dna antico dalle ossa di fossili vissuti 40 mila anni fa”.  

Qual è il valore aggiunto dello studio di Bergamo? “Che è stato condotto su pazienti selezionati, tutti uguali, 400 che si ammalano in modo grave, 400 in modo lieve e 400 non si ammalano. E abbiamo trovato che il 30% delle persone che si erano ammalate in modo grave aveva l’aplotipo di rischio, mentre nel gruppo di chi aveva avuto la malattia meno grave lo aveva solo il 20%, fra chi non aveva avuto niente il 15%. La differenza è molto grande”, sottolinea Remuzzi. 

Le domande a cui cerca di rispondere lo studio sono quelle che “i tecnici della sanità e gli addetti ai lavori si sono posti ogni giorno durante la pandemia”, ha ammesso l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso. Quello condotto dal Mario Negri è “uno studio molto importante – ha aggiunto il governatore lombardo Attilio Fontana – Quando Remuzzi mi parlò della possibilità che ci fossero delle ragioni anche di carattere genetico” per la gravità con cui Sars-CoV-2 si era abbattuto sul territorio orobico “e che fosse necessario fare un’indagine gli dissi subito di sì. Credo siano risultati che possono aiutare ad affrontare e conoscere meglio la situazione e quindi dare risposte più efficienti a questa malattia. Ringrazio gli scienziati che hanno dato queste risposte e ci hanno anche spiegato perché in certe zone ci fosse una diffusione con delle conseguenze gravi e, in altre zone, magari, situazioni analoghe ma con conseguenze molto meno gravi”.  

Gli esiti della ricerca hanno tra l’altro “dimostrato che 12 dei quasi 10mila pazienti coinvolti nello studio avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre del 2019”. Il risultato del lavoro, ha proseguito Fontana, “apre uno scenario che senza dubbio potrà aiutare ad affinare le cure e magari impedire che il virus possa mietere altre vittime nei soggetti a rischio”. Lo studio “apre tante vie – ha confermato Remuzzi – Intanto per sapere chi ha un rischio maggiore dall’incontro con Covid e fare più attenzione a prendere gli antivirali e a vaccinarsi. E poi, oltre a questo, noi abbiamo trovato anche altri geni che non ha visto nessuno: alcuni sono associati a una proteina che aumenta nel caso del Covid e questo aspetto potrebbe aprire una prospettiva terapeutica molto importante”.  

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