Covid Bergamo, “ecco come si moriva nella Wuhan occidentale”: il racconto

(Adnkronos) – “I nostri cari, trasformati in corpi accatastati a cui era stata negata anche la dignità della sepoltura. Purtroppo questo è successo. Io ho perso il papà il 27 marzo del 2020 a Bergamo, nella Wuhan occidentale”. Comincia così la testimonianza di Consuelo Locati, dell’associazione ‘Sereni e sempre uniti’ che rappresenta i familiari delle vittime di Covid, sentita oggi in audizione informale in Commissione Affari sociali della Camera nell’ambito dell’esame delle proposte di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.  

Locati, che è anche uno degli avvocati dell’associazione, torna con la mente a quei giorni drammatici: “La gente moriva a casa senza ossigeno – racconta – Riuscite a immaginare cosa significhi non trovare nessuno che spieghi il funzionamento di una bombola d’ossigeno, quando la trovavamo? Cosa voglia dire inventarsi sanitari per capire quanto ossigeno erogare al minuto, oppure ricercare spasmodicamente dei saturimetri che fino a quel momento non sapevamo nemmeno cosa fossero, per tarare l’erogazione dell’ossigeno a chi ne aveva fame e non riusciva neppure a respirare?”.  

I propri cari, ricorda, non potevano essere portati in ospedale. “Gli ospedali, l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, erano al collasso. Non c’erano ambulanze e quelle che c’erano erano in coda davanti al pronto soccorso, prima di far entrare persone che poi, una volta entrate, venivano adagiate su barelle di fortuna o su materassini per terra e morivano lì prima di essere trasportati in un qualche letto di reparto. Sentivamo solo le sirene delle ambulanze, nemmeno più il suono delle campane perché era diventato troppo straziante. Riuscite a immaginare che cosa abbiamo provato? Io non credo. Credo che solo chi l’ha vissuto possa capire”. 

“Se non hai visto, se non hai atteso la telefonata non puoi capire”, continua il racconto commosso di Locati. Che ricorda quando i propri cari salivano “sulle ambulanze” e non si sapeva “nemmeno dove venivano trasportati”. E si restava ad “attendere una telefonata dai medici che avevano preso in carico un papà, una mamma, magari entrambi, o un figlio, una figlia, un fratello, una sorella. Io vi riporto la mia telefonata: ‘Lei è la signora Locati? Le comunico che il signor Vincenzo Locati è deceduto alle 13.41 di oggi, 27 marzo 2020’. Il grido di dolore straziante, il pensiero di doverlo comunicare a chi era in casa: la mamma, da sola”.  

“Nessuno ci chiedeva come stavamo – prosegue – contagiati, soli, straziati, isolati. Quello che è successo a me è successo a migliaia di altre persone, è successo ai familiari dell’associazione che io in questa sede rappresento, è successo ai familiari degli ospiti delle Rsa che si sono riuniti in altre associazioni”. E poi “i camion militari, quella triste e straziante colonna di veicoli transitata anche davanti al mio studio legale”, ricorda ancora Locati, riferendosi a una delle immagini simbolo del dramma vissuto nella prima ondata di Sars-CoV-2 che si è abbattuta sulla Lombardia. “Su quei camion, in uno di quelli, c’era mio papà insieme ad altre centinaia di corpi racchiusi in bare di fortuna, o addirittura in sacchi”, per “essere portati in forni crematori fuori dalla Lombardia. Noi non sapevamo nemmeno dove fossero. E anche qua nessuna parola, nessuna vicinanza, nemmeno per l’ultimo viaggio. Erano ancora soli loro ed eravamo soli noi”.  

In effetti, conclude, “i nostri cari ci sono tornati da noi, però sono tornati nelle urne. E non sappiamo nemmeno se in queste urne ci sono i resti dei nostri cari, però li abbiamo abbracciati come se fossero i nostri papà, le nostre mamme, i nostri fratelli. Perché solo questo ci è rimasto”.  

 

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